Vermiglio verso gli Oscar, Delpero: «Da donna di provincia una strada in salita, ma il film ha identità»

Le parole di Maura Delpero e della produzione alla notizia che Vermiglio rappresenterà l'Italia agli Oscar 2025

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Vermiglio

Vermiglio ha cominciato la sua scalata verso gli Oscar 2025 con una Maura Delpero «serena e tranquilla», molto soddisfatta del grande calore che il film sta ricevendo in questi giorni al cinema. Merito di una «strategia vincente» messa in atto da Lucky Red che ha cominciato a distribuirlo, dal 19 settembre, in sole 25 sale, diventate a grande richiesta 70 e ora più di 100 dopo la notizia delle shortlists. Il tour de force cominciato a Venezia 81 (dove ha vinto il Leone d’Argento) proseguirà prossimamente in tutto il mondo, da Busan in Corea al BFI di Londra, Chicago, New York, Los Angeles, Amburgo, Gent, Salonicco, Montpellier, Valladolid e altre città. È «il film più selezionato internazionalmente di quest’anno» rivendica con orgoglio la neonata Cinedora che con la stessa regista ha prodotto il film insieme a Rai Cinema e in coproduzione con Charades Productions e Versus Production. Vermiglio ha già trovato anche una distribuzione sul mercato nord-americano, negli Stati Uniti e in Canada con Sideshow e Janus Films. «Partire con un distributore americano è un grande vantaggio nella corsa agli Oscar» commenta Paolo Del Brocco, che ha ancora sulle spalle le fatiche dello scorso anno di Io capitano di Matteo Garrone. «Quando il film è in mano al distributore, la strategia la fanno loro. Io posso mettere a disposizione la mia esperienza, ovvero quattro mesi di campagna con Garrone» aggiunge l’ad di Rai Cinema. «Mi piace l’atteggiamento di Maura, dobbiamo puntare all’essere stupiti, fare le cose con serenità e pazienza perché gli Oscar sono complicati, ci vogliono tanti soldi già solo per prenotare i cinema per gli screening e far venire i voters. Ma questo film è una favola inattesa, si potrà fare una bella campagna perché quando non si hanno aspettative troppo alte, si gode di più». 

A seguire, il Q&A con Maura Delpero alla notizia delle shortlist.

Ti aspettavi la vittoria di Vermiglio tra tutti i candidati? 

Faceva parte dell’orizzonte del possibile. Avevo una strana tranquillità, una sorta di fatalismo che in realtà non mi appartiene, perché di solito sono più partecipe agli eventi, ma credo che a tenermi distratta sia stato il gran concentrato di eventi delle ultime settimane: Venezia, l’uscita in sala, il tour di città e tutti i festival internazionali che hanno richiesto il film. È stata una concentrazione che mi ha tenuta poco preoccupata, l’ho accolta con serenità.

Perché scegliere Vermiglio? 

È sempre molto difficile rispondere, ma direi che il film è stato particolarmente apprezzato perché ha un linguaggio cinematografico identitario, ha una postura e una grande integrità organica. L’altro motivo forse è legato all’identità italiana. È un film che può dare una prospettiva di sguardo sia al passato lontano sia a quello più recente. Quando le cose sono troppo lontane, facciamo più fatica ad entrarci, quando invece raccontiamo un lontano più vicino, allora riusciamo a farci suggerire qualcosa all’orecchio. Vermiglio offre uno sguardo diacronico sulla contemporaneità, anche se non c’era alcuna volontà nostalgica, né giudizio, ma solo un desiderio di far riflettere. Guardiamo indietro per andare avanti.

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Sei pronta al tour de force che avrai davanti? Come ti preparerai? 

Seguo una lezione di vita che ho ereditato da un maestro di drammaturgia e che posso applicare in più contesti. Gli scalatori di alta montagna hanno come regola quella di non guardare mai né in giù né in su, ma solo il chiodo che si sta battendo altrimenti si rischia lo shock d’abisso. A me ha sempre aiutato tantissimo l’idea di guardare solo al chiodo che ho davanti. Adesso batto il chiodo della shortlist dei 15, poi batterò quello della cinquina se ci si arriva e così via. Non voglio lo shock d’abisso

Ti sei fatta un’idea degli altri film in competizione? 

Non riesco a vedere molti film nell’ultimo periodo a causa degli impegni, ma so che ci sono titoli molto interessanti. Mi piace il fatto che questo film abbia un’angolazione diversa, lavora su un grande fuori campo. Se dovessi giudicare da fuori sarei contenta di vedere un film che nel sottostrato ha la guerra, ma non la si vede mai in faccia. 

Che feedback hai ricevuto dalle proiezioni in sala con il pubblico? 

Il calore del film è discreto, arriva il giorno dopo, come una palla di neve che scende piano e inizia a diventare grande. Ho sentito un bel silenzio in sala, una concentrazione e un apprezzamento ripetuti. Sono felice che il film sta arrivando come ci ho lavorato e come speravo arrivasse. Le domande più ricevute sono state in merito alla gestione del cast, che è molto misto a livello anagrafico.

Il numero di registe a vincere agli Oscar resta bassissimo. Cosa significherebbe per te, da donna? 

Quando ho iniziato io c’era una gran penuria di esempi. Sono andata avanti per necessità facendo una gran fatica in un ambito che è sempre stato visto come ‘maschile’. Sono contenta che i numeri possano cambiare, anche perché la diversificazione è cominciata ad arrivare negli ultimi anni. Io donna nata in provincia, ho avuto molte limitazioni, ho fatto una strada in salita e forse me la godo di più. 

Cosa pensi dell’industria e cosa ti è arrivato da Venezia? 

L’industria cinematografica è faticosa dal punto di vista umano, ho imparato che è un lavoro tremendo perché si passa dalle stelle alle stalle e questo può generare sofferenza. Io che ci sono arrivata tardi, in età matura, è come se avessi una bussola, un baricentro solido che non mi fa dipendere da giudizi esterni. Come non mi esalto troppo presto, non mi butto giù quando va male. Per me è importante continuare a fare la cosa che amo in maniera viscerale.