Roberta e Leòn sono due quarantenni precari e in cerca di riscatto che inscenano un matrimonio finto in Puglia per intascare i soldi delle buste che gli invitati solitamente regalano agli sposi. È la trama de La sposa in rosso, la nuova commedia degli equivoci di Gianni Costantino (una produzione Fenix Entertainment e Vision Distribution), che arriva al cinema il 4 agosto grazie ad Adler Entertainment e con un frizzante cast (Massimo Ghini, Cristina Donadio, Anna Galiena, Dino Abbrescia, Maurizio Marchetti, Roberta Giarrusso), capitanato da una nuova (ed azzeccatissima) coppia cinematografica composta da Eduardo Noriega e Sarah Felberbaum. Ed è proprio lei che abbiamo intervistato in occasione dell’uscita in sala del film.
Chi è Roberta?
Roberta è una donna forte, indipendente e tanto testarda. È una donna che non ha bisogno di niente e nessuno. E ne va fiera, senza però rendersi conto che nella vita chiedere aiuto non è una cosa negativa. Grazie all’incontro con Lèon lo capirà.
Come sei entrata nel personaggio e cosa avete in comune?
Più che avere cose in comune, mi è piaciuta l’idea di raccontare una donna così coraggiosa e, come ho detto prima, indipendente. Ho lavorato molto con Gianni e con Eduardo per capire bene chi fossero i nostri personaggi e soprattutto per rendere più veritiero e profondo il loro rapporto ed il loro legame.
La sposa in rosso è una commedia, una crime story, una storia d’amore: questo film è tante cose, ma forse è soprattutto il ritratto di una generazione che è rimasta incastrata fra i sogni e la realtà, che fatica a trovare il suo posto nel mondo. È così?
I nostri personaggi sono in momento di vita in cui stanno facendo fatica a capire «chi e cosa vogliono essere da grandi». Non credo siano incastrati tra sogno e realtà, ma al contrario lottano per far sì che i loro sogni, i loro desideri diventino realtà. I nostri personaggi sono forti, con caratteri decisi e semplicemente non vogliono accettare una realtà che non riconoscono come loro.
Io da quasi quarantenne mi ci ritrovo. Capita anche a te di sentirti parte, anche nella vita, di questa generazione?
Onestamente no. Non mi sento in un limbo, anzi. Ho lavorato tanto per essere dove sono e non mi riferisco solo al lavoro. Ma alla vita in generale. Mi piace dove sono e cosa ho creato. Ne vado molto fiera.

In questa pellicola la vera storia d’amore inizia quando il film finisce, quasi a ricordare che sempre, e non solo qui, l’amore vero comincia quando termina la poesia e forse un po’ la finzione iniziale…
Amo la fine di questo film. Penso che dare la possibilità allo spettatore di immaginare il proseguimento che più preferisce e desidera sia bello e non scontato. Qui raccontiamo due persone che, come hai detto tu, sono incastrate ma che lottano per rimanere oneste con se stesse. Raccontiamo due persone che hanno delle paure inconsce e le guardiamo mentre queste paure vengono in superficie, osserviamo le loro reazioni e di conseguenza come cambiano per accogliere le persone che stanno diventando. Roberta e Lèon, questo momento lo vivono insieme, amandosi a modo loro. È terribilmente reale invece, anche se loro non se ne rendono conto. Il secondo capitolo, quello che noi non vediamo, non è senza poesia. L’amore è in continua evoluzione ed ogni fase ha la sua magia.
Per te che hai genitori stranieri, è stato difficile comprendere e raccontare vicende, manie, ossessioni di una tipica famiglia del Sud Italia?
Raccontare una famiglia del Sud è stato molto divertente. Io sono inglese, ho genitori stranieri e per tanti versi la mia famiglia è l’opposto della famiglia Caradonna. È bello immergersi in realtà così lontane. L’ho trovato molto stimolante.
Nel film si dice che «L’Italia è il paese della fantasia e della creatività. In Italia la fantasia si recita e diventa vera». Sei cresciuta in Italia ma hai una visione sul mondo. Sei d’accordo?
Credo sia un bel modo di raccontare l’Italia. Descrive una capacità di inventarsi e reinventarsi. Non so quanto sia ancora così, ma penso che sia una visione molto romantica.