Arrivo in serata a Sant’Arcangelo di Romagna, il famoso borgo romagnolo reso celebre da Tonino Guerra e vengo subito catapultato in una dimensione che tutto sembra tranne che un festival di cinema. Gli ingredienti sembrano apparentemente essere gli stessi di altre rassegne: proiezioni, talk, workshop, produttori, filmakers, giornalisti e attori, insieme nello stesso posto per una settimana intera. La differenza sostanziale è che in Romagna non esistono barriere, di nessun ordine e grado. Al Nòt Film Fest si sta tutti insieme appassionatamente, addetti ai lavori, ospiti e pubblico. Il Festival Internazionale del Cinema Indipendente è un format totalmente informale fatto di giovani di belle speranze che sognano di vivere di e con il cinema, fatto di lunghe tavolate a pranzo, in un posto suggestivo, bucolico immerso nella natura, dove volontari, registi, giornalisti, driver banchettano amabilmente scambiandosi impressioni ed esperienze sulla settima arte.
Alla guida di questa gioiosa macchina organizzativa ci sono due altrettanto giovani e volenterosi sognatori: Alizè Latini e Giovanni Labadessa, fondatori e direttori artistici dell’evento, che caparbiamente da 7 anni fanno arrivare nel paese che ha dato i natali anche a Daniele Luttazzi e Fabio De Luigi, centinaia di filmmakers provenienti da ogni parte del globo per presentare le loro opere indipendenti e low budget, ad un attento pubblico di addetti ai lavori.
“Il Nòt nasce 8 anni fa quando abbiamo iniziato a pensare ad un Festival che unisse tutte le cose che ci piacevano dei Festival dove andavamo come filmmakers, quindi come ospiti, eliminando invece tutto ciò che non ci piaceva, come le barriere, le conferenze stampa, le feste esclusive, gli inviti coi braccialetti e lo smoking. Volevamo unire tanto la parte creativa e artistica quanto la parte business e industry, il tutto in maniera estremamente informale. E cosa più importante volevamo creare delle connessioni professionali tra tutti i partecipanti” mi raccontano i direttori artistici che hanno maturato entrambi esperienze lavorative in America.
L’intento dichiarato del Nòt è proprio quello di creare in Italia una sorta di “Sundance” nostrano, un Festival alternativo capace di intercettare tutte quelle produzioni che non riescono ad accedere ai soliti circuiti del mainstream.
“Lo scopo è proprio quello di creare un momento, un luogo, uno spazio che ha come modello il Sundance di vent’anni fa, quello che oggi è rappresentato dallo “Slamdance” negli Stati Uniti, un festival unico nel suo genere, perché la competizione nella sezione lungometraggi è limitata a film realizzati con budget inferiori a 1 milione di dollari, spesso opere prime di registi esordienti” spiega Giovanni Labadessa. “Il nostro obiettivo è quello di essere un luogo che fa cultura, il punto di riferimento per il cinema indipendente che è qualcosa che manca in Italia. Un cinema che da noi viene erroneamente considerato amatoriale. In Italia c’è molto di più dei pochi titoli selezionati che vanno a Venezia o in altri importanti festival. Il fine ultimo del nostro Nòt è quello di trovare un pubblico che apprezzi queste opere e magari riuscire a trovargli anche un canale di distribuzione” aggiunge Alizè Latini.

Questa edizione si è contraddistinta per una selezione di altissimo livello, con 98 tra film, documentari e corti proiettati in concorso e 2 fuori concorso, per un totale di 100 film. Un programma ricco di anteprime: 91 film sono stati presentati per la prima volta in Italia provenienti da 29 paesi: 68 opere straniere e 32 opere italiane. 35 erano le registe donne presenti.
Nella sezione musicale è stato invece presentato in anteprima il nuovo videoclip “Ombre – Marzo” di Ainé per la regia di Brando Pacitto.
“Ci piace ribadire che noi non programmiamo film ma programmiamo filmmaker. La nostra selezione avviene attraverso l’iscrizione al sito da cui scegliamo le 100 opere che riteniamo più giuste per il Nòt. Molti dei giovani registi esordienti che abbiamo proposto durante questi 7 anni sono cresciuti con il festival, alcuni che hanno presentato qui il loro primo corto e hanno poi vinto la Palma D’oro, alcuni documentaristi hanno addirittura vinto l’Oscar, Theodore Schaefer dopo essere stato qui da noi ha presentato le sue opere a Berlino, al Sundance e a Cannes. A noi questo interessa. Scoprire i talenti e potergli dare in dote una community pronta ad accoglierli, perché come si dice l’unione fa la forza” ribadisce Labadessa.
Un happening di cinema low budget che si svolge nel cuore della Romagna. “Territorio ricco di iniziative – ci ricorda Latini – una terra con un’effervescenza culturale e imprenditoriale che ci ricorda un po’ il mondo da cui veniamo, quello americano. Qui inoltre abbiamo riscoperto la bellezza dei borghi italiani che tanto piace all’estero. Sant’Arcangelo fa parte di quell’Italia che rappresenta ottimismo, speranza e gioia.“
Ad inaugurare la competizione l’anteprima del film di Zia Anger “My first film“, in collaborazione con MUBI. La storia di una filmmaker ventenne che cerca di realizzare, aiutata da una ristretta e strampalata cerchia di amici, il suo primo film da regista. Un’opera osannata da certa critica e che inspiegabilmente è stata inserita dal New Yorker tra i “sessantadue film che hanno plasmato l’arte del documentario”. Il perché di questo inserimento in questa curiosa classifica (chissà perché poi 62 film e non 50, 60 o 100) rimane per me un curioso mistero così come il premio dato dalla giuria del Nòt Film Fest come miglior film.
Bellissimi invece alcuni cortometraggi presentati che hanno trattato argomenti delicati come If you’re Happy di Phoebe Arnstein che racconta la depressione post parto che colpisce alcune mamme dopo la prima gravidanza, premiato giustamente dal Nòt come miglior corto.
A Day in February di Klaas Diersmann, ispirato ad una storia vera, affronta invece il difficile tema del ricongiungimento familiare dei rifugiati ucraini in Polonia. Sempre dal paese di Orban arriva Thursday di Bren Cukier che parla della difficile scelta di una giovane donna polacca di abortire clandestinamente in un posto in cui la pillola è vietata per legge, premiato dal Nòt con una menzione speciale. Care di Jagoda Tiok invece racconta la sensibilità e il coraggio di due badanti che si ribellano alle regole del sistema di assistenza privata britannico. Un’opera che renderebbe fiero Ken Loach, maestro del genere. The Steak di Kiarash Dadgar affronta le brutture della guerra attraverso i preparativi di una semplice e triste festa di compleanno di una bambina. Divertentissimo e un po’ splatter Tooth di Jillian Corsie. Stufo di soffrire da decenni di maltrattamenti e di pulizie ossessive un dente prende in mano la situazione e uccide il corpo ospitante. Geniale Under the Influencer di Alberto Accettulli che racconta la ricerca ossessiva della fama di due giovani scemi, degni rappresentanti della Gen Z, attraverso l’utilizzo dei social. Divertente You don’t mess with James di Weston Auburn che con un cartoon racconta la sua particolare giornata sul set con James Gandolfini. Non molto riuscito invece il doc Primo sempre grezzo di Guido Maria Coscino che ripercorre la vita di una delle figure più influenti del rap italiano Davide Maria Belardi, conosciuto come Primo Brown, leader dei Cor Veleno. Lungo, a tratti ripetitivo, nonostante i potenti contributi, incomprensibilmente solo sonori, di artisti del calibro di Jovanotti, Salmo e Coez (scelta rivendicata fieramente dal regista che ha impiegato ben 9 anni per realizzarlo).

Intenso, commovente e poetico invece Grapefruit di e con Chase Joliet. Un film romantico, sui sentimenti a 360 gradi: l’amor proprio da recuperare, quello materno da ricostruire e le difficoltà di innamorarsi ancora, di lasciarsi andare dopo un tragico fallimento matrimoniale. Purtroppo premiato al Nòt solo come miglior interpretazione. Cercatelo, ne vale la pena.