Era il 20 dicembre del 1997 quando nei cinema italiani arrivava La vita è bella, il film diretto e interpretato da Roberto Benigni che finì per segnare la storia del cinema italiano.
Amato da tanti, inappropriato per molti, il film di Benigni sceglie di raccontare la tragedia dell’olocausto in una declinazione differente da quella sino ad allora comunemente utilizzata, approcciando la sceneggiatura con tratti di dramma e di commedia.
La vita è bella
La storia, la conosciamo tutti, è quella di Guido Orefice, uomo ebreo ilare e giocoso, che – deportato insieme alla sua famiglia in un lager nazista – cercherà di proteggere il figlio dagli orrori dell’Olocausto, facendogli credere che tutto ciò che vedono sia parte di un fantastico gioco in cui dovranno affrontare prove durissime per vincere un meraviglioso premio finale.
5 Curiosità su La vita è bella
1. Il titolo, da Buongiorno Principessa a La vita è bella
Dopo il successo ottenuto alla regia di Johnny Stecchino e Il mostro, Benigni pensò di continuare a solcare la scia della commedia, salvo poi cambiare idea durante la stesura del soggetto scritto insieme a Vincenzo Cerami. Uno spunto per la scrittura gli fu dato dalle vicende di Rubino Salmonì, che gli raccontò la sua storia di deportato e di sopravvissuto narrata in seguito nel libro Ho sconfitto Hitler.
Il titolo usato durante le riprese, avvenute tra il novembre 1996 e l’aprile 1997 tra Arezzo, Montevarchi, Ronciglione, Roma e Papigno, era Buongiorno Principessa, successivamente cambiato in La vita è bella. La frase è stata estrapolata dal testamento di Lev Trotsky che, per esteso, recita così: “La vita è bella. Possano le generazioni future liberarla da ogni male, oppressione e violenza e goderla in tutto il suo splendore”.
2. L’omaggio a Massimo Troisi, Charlie Chaplin e Le ali della libertà
All’interno della pellicola sono presenti alcuni tributi a Massimo Troisi, grande amico di Benigni, con il quale aveva lavorato a stretto contatto in Non ci resta che piangere, oltre 10 anni prima. Nella scena a teatro in cui Guido (Benigni) cerca di far voltare verso di sé l’amata maestra Dora (Nicoletta Braschi), questo sussurra piano piano “Voltati, voltati…!” esattamente come Troisi in Ricomincio da tre quando tenta di spostare un vaso con la sola forza del pensiero. Il secondo tributo, invece, è presente nella scena in cui Guido fa il giro del quartiere per spuntare davanti a Dora, proprio come Troisi.
Quando si trova nel lager tedesco, Guido indossa la tuta da deportato sulla quale è stampato lo stesso numero presente anche sulla tuta indossata da Charlie Chaplin ne Il Grande Dittatore.
Nella scena in cui Guido fa sentire la sua voce al microfono per comunicare con la moglie, anch’ella internata, c’è un riferimento a Le ali della libertà, film del 1994 diretto da Frank Darabont: il carcerato Andy Dufresne (Tim Robbins) fa sentire a tutti musica classica proprio grazie all’altoparlante del carcere e tutti, incuriositi, alzano il capo proprio come avviene nella pellicola di Benigni.