Il tempo che ci vuole di Francesca Comencini, ottiene un riconoscimento importante dal più acclamato dei registi italiani in attività: Marco Bellocchio.
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Il film è stato presentato alla 81esima Mostra del Cinema di Venezia, in Selezione Ufficiale Fuori Concorso ed è uscito il 26 settembre in sala interpretato da Fabrizio Gifuni e Romana Maggiora Vergano.
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Il regista su Instagram ha commentato così:
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«In queste settimane seguendo da lontano per ragioni di lavoro il film di Francesca Comencini “Il tempo che ci vuole” (che invece avevo seguito molto da vicino in tutte le sue fasi di lavorazione) ho capito perché l’ho amato così profondamente. Un altro perché. Perché “Il tempo che ci vuole” dà una risposta, a me personalmente, che nella mia vita non ho saputo dare. Nel film di Francesca il padre sa rispondere alla figlia mentre io non ho saputo rispondere a mio fratello gemello. E così la figlia si salva, mio fratello di uccide. È terribilmente semplice. Il padre, pur malato, si è opposto alla figlia che voleva uccidersi amandola, agendo nei fatti. Io non ho agito, non sono intervenuto per una mancanza di amore (con tutte le scusanti, questo ora non mi interessa). Perciò la geniale tragica risposta di mio fratello: “Marx può aspettare”. Il padre ha resistito all’odio della figlia, non l’ha affidata a una comunità, non l’ha fatta rinchiudere, non ha pagato uno psichiatra, le ha detto semplicemente: stai con me, non ti mollo più neanche un istante. E la figlia di fronte a una determinazione così affettuosa e severa (e priva di qualsiasi teatralità) si arrende e si salva. È un movimento raro senza ragionamenti che Francesca Comencini ha saputo rappresentare con originalità. Ho visto tanti film nella mia lunga vita col lieto fine (nella mia giovinezza il lieto fine era sinonimo di falsità, di retorica. Una forma di propaganda di chi comandava. Il film doveva finire bene. La speranza, la positività ecc. ecc.). E “Il tempo che ci vuole” finisce bene ma è vero, è bello, non ha nessuna retorica. Ed è (miracolosamente?) positivo. Riabilita, ma non è il solo film che lo fa, il “buon messaggio”.»