Milos Forman, il regista della libertà al Bergamo Film Meeting

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150 film – tra lunghi, medi, corti, fiction, documentari e animazione – in 9 giorni. Basterebbero già questi dati per accertare che il glorioso BFM, ovvero il Bergamo Film Meeting, giunto alla 35 edizione (giù il cappello!), si mostra rinvigorito e pieno di suggestioni appetitose. Le sezioni sono svariate: Concorso, Visti da vicino, Europe Now!, Cinema d’animazione: Chintis Lundgren; più anteprime varie, incontri, cult movie e incroci proficui con l’Arte e il Jazz.

Su tutto (che riprenderemo nei prossimi giorni durante le giornate del Festival, dall’11 al 19 marzo) spiccano inoltre gli omaggi allo scrittore e sceneggiatore (143 copioni firmati!) Jean-Claude Carrière (collaboratore di – scusate se è poco – Buñuel, Etaix, Malle, Wajda e Brooks) e soprattutto Milos Forman, uno di quei Maestri senza i quali la storia del cinema non sarebbe stata la stessa, almeno non così ricca e coinvolgente. Tra l’altro i due collaborarono in tre occasioni (trascurando i progetti): Taking Off, Valmont e L’ultimo inquisitore. Qui sotto proviamo a raccontarvi chi è il cineasta ceco e perché è (stato) così importante.

MILOS FORMAN, IL REGISTA DELLA LIBERTÀ

Figlio totale dello spirito e delle pulsioni del XX secolo, Milos Forman (boemo di Caslav, 1932) ha impegnato ogni stilla del suo straordinario talento di narratore e cineasta nella lotta per la libertà, politica e di espressione, in una quarantennale (e rotti) carriera, inaugurata – parliamo di lungometraggi fiction ma sono indimenticabili anche i suoi documentari, tra cui il delizioso Konkurs, 1964 – con L’asso di picche che vinse il Festival di Locarno del 1964, affermandosi così quasi subito come una delle punte di diamante di quel movimento cinematografico-culturale chiamato Nova Vlna (Nuova onda, appellativo che rivela il suo debito nei confronti della nouvelle vague francese) che aveva come mozione d’ordine “rendere il popolo cecoslovacco collettivamente consapevole della propria partecipazione a un sistema di oppressione e incompetenza che brutalizzava tutti” .

DA PRAGA A NEW YORK

“Un uomo non deve mai smettere di sognare e di mirare più in alto di dove sta” è una delle sue frasi più rivelatrici, quasi come quest’altra: “il male peggiore – ed è un prodotto della censura – è l’autocensura”. Valori cui è sempre stato fedele, al di qua della cortina di ferro come quando la varcò. Figlio di partigiani morti nei campi di sterminio e cresciuto con sempre maggiore insofferenza sotto il regime comunista, cui procurò diversi fastidi sino alla denigrazione burocratica di Al fuoco pompieri! (1967, peraltro in Occidente piacque tanto da meritarsi la sua seconda candidatura agli Oscar, dopo il magnifico Gli amori di una bionda, 1965), fu spinto infine all’esilio negli USA dopo il soffocamento della “Primavera di Praga” sessantottesca. Peraltro, anche a New York, non rinunciò alla vocazione anti-autoritaria e indipendente, vivendo nel libertario quartiere del Greenwich Village (per un certo periodo alloggiò anche al leggendario Chelsea Hotel) e infilando il coltello nella piaga delle contraddizioni statunitensi con il suo film d’esordio in Occidente: Taking Off (1971). Risultato: stima ma incassi quasi zero (“il film non ha avuto successo ma è tutt’ora ricordato per la scena in cui ho montato una serie di provini sulla stessa traccia sonora”, ha ricordato).

Amadeus
QUALCUNO VOLÒ SUL NIDO DEL CUCULO E IL SUCCESSO A HOLLYWOOD

A salvarlo allora probabilmente da un destino comune a molti esuli incompresi, cioé quello dell’arrabattarsi esacerbato tra livori nostalgici e compromessi al ribasso, fu nientemeno che Michael Douglas che gli propose l’adattamento di un libro di Ken Kesey, Qualcuno volò sul nido del cuculo. Fu così congegnale alla sua poetica che ne scaturì un successo mondiale (1975, con i 5 Oscar maggiori accaparrati), tanto da aprirgli definitivamente e senza più rischi di retrocessioni future le porte della grande produzione. Così potè riprendere i suoi temi preferiti (come lo spirito libertario della gioventù in lotta contro l’oscurantismo del Potere) anche nel successivo Hair (1979) e affrontare quindi la dimensione della megaproduzione, prima con De Laurentiis con Ragtime (1981) e poi con l’indimenticabile Amadeus (1984, “un film sul talento e sulla libertà, sulla loro incompatibilità con la società che li distrugge in nome dell’ideologia”, come dichiarò in un’intervista a Glauco Almonte su Cinemadelsilenzio.it). Fu un’apoteosi (8 Oscar vinti).

Qualcuno volò sul nido del cuculo
GLI ULITMI FILM

In seguito, in termini di successo e popolarità non toccò più quel vertice, ma tutti i suoi film successivi, da Valmont (1989) a Larry Flynt – Oltre lo scandalo (1996), sino ai più criticati Man on the Moon (1999, che resta però una delizia, con uno strepitoso Jim Carrey) e L’ultimo inquisitore (2006 su Goya) hanno comunque riverberato dello stesso spirito iconoclasta ma anche attentissimo alle regole dell’entertainment. Purtroppo l’aggravarsi delle condizioni di salute con l’età (brutti problemi alla vista) lo hanno allontanato dalla regia, lasciando così incompiuti alcuni suoi progetti sulla carta molto interessanti (come Le braci da Sandor Marai o Il fantasma di Monaco, sul famigerato accordo politico del 1938 che lasciò mano libera a Hitler di impadronirsi della repubblica Ceca).

Colin Firth, Meg Tilly e Milos Forman sul set di Valmont

Ecco, questo è il titano che il Bergamo Film Meeting onora presentando la sua personale completa (a cura di Angelo Signorelli, con la collaborazione di Paolo Vecchi che, sempre qui tra parentesi, è anche l’unico ad aver pubblicato in Italia un approfondito libro su di lui, ed. Il Castoro) con partenza deluxe: venerdì 10 infatti, nel fasto del Teatro Donizetti, proiezione di Amadeus (e cos’altro altrimenti?) a inaugurare come meglio non si potrebbe questa 35ma edizione.

Massimo Lastrucci

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