Il lungo percorso iniziato nel 2022 con l’annuncio dello stesso regista è finalmente terminato e a partire dal 3 aprile Europictures distribuisce il nuovo film di David Cronenberg, il The Shrouds – Segreti sepolti con Vincent Cassel, Diane Kruger e Guy Pearce che era già stato presentato al Festival di Cannes. Un film che arriva dopo il Crimes of the Future del 2022, citato dallo stesso regista in una delle risposte che seguono, come al solito, quando c’è lui, mai banali.
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È stato proprio il filmmaker canadese, infatti, a offrirsi alle domande della stampa in un incontro a distanza reso necessario dai problemi che lo hanno costretto ad annullare gli appuntamenti già fissati in presenza. E nel quale ha esordito ‘rifiutando’ in qualche maniera la sempre più inflazionata etichetta di “visionario’, dicendo: “Sono solo uno che osserva e cerca di capire la condizione umana, che è quella che viviamo tutti. Se alcune delle cose che creo sembrano essere visionarie, è solo per caso, personalmente non ho alcuna intenzione di pormi come profeta”.
È vero che l’origine del film è molto personale?
Sono stato sposato per 43 anni e quando mia moglie è morta, nel 2017, ho pensato davvero che non avrei più fatto film tanto lei faceva parte della mia vita. Dovendo poi affrontare la questione del lutto, della morte e dell’amore, ho iniziato a scrivere questa sceneggiatura, basata in parte sulla mia esperienza, e quando cominci a scrivere, immediatamente, quella sceneggiatura non è più realtà, ma finzione. I personaggi che scrivi, che crei, prendono forma, diventano vivi e sono loro che ti dettano chi sono e cosa vogliono fare. Viene meno la realtà, sebbene lo spunto fosse un fatto reale, non c’è più autobiografia, ma è solo una storia di finzione.
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Nella quale però si parla di elaborazione del lutto, in maniera post-moderna e nell’epoca dell’intelligenza artificiale…
Di recente ho letto un articolo che faceva proprio riferimento ad alcune persone che attraverso l’utilizzo dell’intelligenza artificiale hanno creato degli avatar digitali, rappresentazioni delle persone care che hanno perso, con la stessa voce della persona defunta, ottenuta grazie al campionatore. Se poi questo sia un modo di elaborare il lutto, non lo so, dipende dal singolo individuo. Lo capisco, ma è un sistema che non utilizzerei.
Si parla anche di villaggio globale, per indicare che siamo tutti iperconnessi in questa realtà e che lo saremo anche nell’altra?
Io sono ateo, come anche il protagonista, interpretato da Vincent Cassel, e quindi – da atei – non crediamo assolutamente in una vita dopo la morte. Come affermato in Crimes of the Future, il corpo è realtà, nel momento in cui il corpo muore anche la realtà non c’è più. Analogamente non esiste un’anima al di fuori del corpo, ma quello che trovo interessante è la possibilità di creare una specie di aldilà artificiale attraverso l’intelligenza artificiale, una specie di paradiso artificiale, dove gli avatar dei defunti possano trascorre del tempo insieme, dialogare, conoscersi. Qualcosa di assolutamente falso, esattamente come è falso il paradiso che la religione dice che esiste, promessa che io considero una frode.
Nel film però la tecnologia non sembra essere onnipotente, soprattutto per quel che riguarda i segreti di una persona
Quando scompare una persona con la quale hai avuto un rapporto intimo per 43 anni, ti rendi che ci sono delle domande che avresti voluto porle e che non hai fatto, delle esperienze che avresti voluto vivere con questa persona e non hai potuto, delle conversazioni che avresti voluto avere e che non avrai, e forse la teoria della cospirazione presente nel film dà un po’ l’idea che quello sia un modo per affrontare il mistero dell’essere umano. Una illusione di potere, di essere l’unico a sapere o a vedere qualcosa, o di capire la persona che non c’è più in qualche modo. Forse è un modo per affrontare, processare, elaborare il lutto, ma in base alla mia esperienza, nessuna di queste strategie serve a liberarsi del dolore, compreso fare questo film, perché il dolore e il lutto non se ne vanno e tu non lasci andare la persona.
Insomma, i problemi sono quelli di tutti, sempre?
Negli anni ’40 e ’50 c’era l’idea fantascientifica che la tecnologia sarebbe arrivata dallo spazio, portata dagli alieni, ma la tecnologia è umana, non è altro che il riflesso di quello che noi siamo, non è che un’estensione della nostra voce, come il cervello non è altro che parte del corpo. Possiamo affermare che la stessa intelligenza artificiale non è altro che il riflesso di quello che noi siamo e che la tecnologia non è qualcosa che ci consente di trascendere chi siamo, perché è un riflesso di quello che siamo. La tecnologia fa cose bellissime e meravigliose esattamente come sono in grado di fare gli esseri umani, e al contempo fa cose mostruose e orribili, così come le fanno gli esseri umani. E i problemi che li angosciano, che angosciano tutti noi, rimarranno gli stessi, al cento per cento.