Doc, Sneezy, Happy, Grumpy, Sleepy, Bashful, Dopey, cioè Dotto, Eolo, Gongolo, Brontolo, Pisolo, Mammolo e Cucciolo: i sette nani, l’arma vincente di Snow White and the Seven Dwarfs, primo lungometraggio animato prodotto a Hollywood che debuttò il 21 dicembre 1937 al Carthay Circle Theater di Los Angeles, segnando la definitiva consacrazione dell’Impero Disney.
Alla prima di Biancaneve e i Sette Nani sfilano tutte le maggiori celebrità hollywoodiane: Marlene Dietrich, Charles Laughton, Elsa Lanchester, Carole Lombard, Charlie Chaplin, Judy Garland sono solo alcune delle star che si danno appuntamento per assistere alla nuova folle idea di Walt Disney, un lungometraggio totalmente animato, il primo della storia del cinema.
«Lavorare con Walt Disney non era facile – ci raccontava anni fa Frank Thomas, uno dei “nine old men”, gli animatori che hanno lavorato con il papà di Topolino fin dagli inizi -, aveva idee geniali e spesso era insopportabile, ma è a lui che si deve se Biancaneve è ancora nella memoria della gente».
Ma quando nasce realmente il progetto Biancaneve, la realizzazione di uno dei più arditi sogni cinematografici dell’impero disneyano, costato 1.488.423 dollari (il preventivo era di 150.000!), che ne fruttò, fin dalla prima edizione, 8.500.000 (cifra stratosferica in un’epoca in cui il biglietto del cinema costava appena 23 centesimi per gli adulti e 10 per i bambini) e che, ad oggi, con gli incassi aggiornati al tasso d’inflazione, ha accumulato 1.746.100.000 dollari?
La nascita di Biancaneve e i sette nani
I biografi raccontano che il giovane Walt fu molto impressionato, nel 1917, da un film muto che narrava la storia di Snow White and the Seven Dwarfs, interpretato da Marguerite Clark. In realtà, senza sottovalutare l’importanza di simili stimoli, Disney aveva individuato nella fiaba scritta dai fratelli Grimm un perfetto mèlange di comicità e dramma, di sentimento e orrore, su cui la magia dell’animazione dei suoi studi avrebbe potuto edificare gli ottantatré minuti di Biancaneve e i sette nani.
Esiste, per la verità, un precedente animato sullo stesso tema: prodotto dai fratelli Fleischer e disegnato da Grim Natwick, ci mostra Betty Boop (eroina sexy del cartooning di quegli anni) nei panni di Biancaneve. Forse non è un caso, visto che, da lì a pochi anni, Natwick passa agli studi Disney e che, tra i primi bozzetti del volto di Snow White (che abbiamo poi conosciuto come una giovane Janet Gaynor) ce ne sono un paio che rimandano all’inconfondibile sagoma di Betty Boop.
La geniale trovata di Walt Disney è quella di evitare di raccontare una semplice storia d’amore (Biancaneve e il principe doveva essere il titolo, secondo la produzione). Disney s’impunta per difendere il ruolo dei suoi nani, che sono la chiave del successo del film: autentici mattatori, ognuno con caratteristiche fisiche e psicologiche ben definite (nella fiaba originale erano invece un gruppo indistinto), in grado di commuovere e divertire il pubblico almeno quanto Biancaneve e la Strega.
L’innovazione e la creazione dello stile Disney
Quest’accuratezza psicologica costa molto in termini di lavorazione. Nei tre anni di realizzazione di Biancaneve e i sette nani furono prodotti più di un milione di disegni dai 32 animatori coinvolti nell’impresa (c’erano anche 102 assistenti, 107 intercalatori, 20 responsabili dei layout, 25 dei fondali, 65 tecnici degli effetti speciali e 158 addetti al ripasso e alla coloritura dei disegni) e Disney indiceva quasi ogni giorno conferenze-fiume tra i collaboratori più stretti (mediamente cominciavano alle otto del mattino, per finire
all’una di notte), dove erano dettagliatamente esaminate le possibilità grafiche e narrative di ogni sequenza. È proprio da lì che nascono le caratteristiche dei nani, si scelgono le loro voci (una curiosità: Pinto Colvig, voce di Pippo, interpreterà sia Pisolo sia Brontolo), si studiano modelli celebri (per il principe si pensa ad un Douglas Fairbanks
diciottenne), s’inventano le gag che costellano il film, se ne studiano le canzoni, ormai entrate nella storia.
Biancaneve presenta un’impressionante serie di novità tecniche, caratteristica che rimarrà una costante di tutta la cinematografia disneyana. In quest’occasione è inventata la multiplane camera (in pratica si tratta di diversi fondali sovrapposti in trasparenza), che permette, ad esempio, di dare un affascinante senso di profondità a scene come quella in cui Biancaneve fugge tra gli alberi. L’estrema cura con cui sono delineati i tratti somatici dei personaggi (fino allora i protagonisti dei cartoons erano dipinti in maniera fortemente caricaturale e nessuno aveva neanche immaginato scene così affollate), costringe la Disney ad ingrandire il formato medio degli originali, con il conseguente effetto di dover costruire appositamente dei nuovi set tecnici, adatti al nuovo standard.
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Snow White and the Seven Dwarfs, pur senza usufruire delle facilitazioni che la tecnologia contemporanea mette a disposizione dei registi e dei cartoonist, è ancora oggi un esempio unico e irripetibile d’animazione allo stato puro, in cui tradizione e sperimentazione coesistono senza sforzo apparente, grazie al talento dei cartoonist.