Alla Star Wars Celebration si festeggiano 50 anni di ILM con Light & Magic S.2

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star wars celebration light and magic
TOKYO, JAPAN - APRIL 18: The cast of Light & Magic are seen on LIGHT & MAGIC: A Glimpse into the Magic of Season 2 at Celebration Stage during Star Wars Celebration Japan Day 1 on April 18, 2025 in Chiba, Japan. (Photo by Christopher Jue/Getty Images for Disney)

La cosa che più mi piace di Star Wars è che in realtà è impossibile”. Parole di George Lucas, lo stesso uomo che ha come mantra che “l’unico limite del cinema è la nostra immaginazione”. Nessun problema per lui, quindi, trovare la maniera di trasformare l’impossibile in realtà. Lo fece proprio per realizzare il sogno di Guerre Stellari, film che quando uscì nel 1977 era avanti anni per i suoi effetti speciali all’avanguardia.

Non c’erano le tecnologie digitali all’epoca, tutto veniva realizzato in maniera artigianale, come lo si può scoprire nella serie documentaria Light & Magic, due stagioni disponibili su Disney+, la seconda fresca arrivata il 18 aprile. Una cavalcata nei cinquant’anni che hanno di fatto cambiato il concetto stesso di cinema, portando sullo schermo le visioni di registi come Steven Spielberg, Ron Howard, Francis Ford Coppola e qualche altro centinaio.

Sfide tecnologiche, ma soprattutto artistiche, che hanno raccontato nel panel dedicato alla Industrial Light & Magic i diretti protagonisti di questa rivoluzione, soffermandosi in particolare sul rapporto che lo stesso Lucas ha avuto, e ancora ha, con chi praticamente realizza i suoi desideri. C’è una sorta di misticismo attorno alla figura del Fondatore, regista, sceneggiatore, produttore, visionario, che appunto non conosce il significato della parola impossibile.

I suoi collaboratori, persone che lo seguono da trenta e più anni, hanno ricordato quando durante le riunioni per The Phantom Menace il tycoon segnava con due evidenziatori di diverso colore cosa sarebbe dovuto essere digitale e cosa reale in ogni singola inquadratura del film attraverso lo storyboard. È qualcosa che va oltre la regia, è una visione basata sulla consapevolezza che esistono livelli diversi di realtà.

Questa seconda stagione di Light & Magic è diretta da Joe Johnston, che prima di essere un solido regista (Rocketeer, October Sky, Jumanji, Jurassic Park 3) ha lavorato alla ILM dalle origini, faceva parte del team di effetti speciali di Guerre stellari, quindi chi meglio di lui poteva raccontare l’azienda e la sua mission.

Così come Lawrence Kasdan, regista della prima, l’uomo che ci ha regalato Il grande freddo e Silverado, ma anche sceneggiatore de L’Impero colpisce ancora e I predatori dell’arca perduta. A dimostrazione che non parliamo di una “semplice” fucina di geniali artigiani del pixel, ma di una factory cinematografica a tutti gli effetti che ha prodotto talenti che hanno radicalmente cambiato il processo produttivo di un film, offrendo a tutta la filiera di reparti nuove possibilità.

Abbracciate con entusiasmo da cinematographer, scenografi, make-up artist, costumisti, montatori, tecnici del suono (il THX Sound lo hanno inventato loro, d’altronde). E che se per un lungo periodo si sono trovati a essere un punto di riferimento quasi esclusivo, soprattutto negli anni Ottanta e Novanta, ora la concorrenza è tanta e altrettanto preparata.

La Digital Domain di James Cameron, che dopo essere uscito dall’azienda ha poi abbracciato con entusiasmo la WETA, la casa che di VFX dalla Nuova Zelanda con furore che ha permesso a Peter Jackson di viaggiare fino alla Terra di Mezzo e a Cameron stesso di verso Pandora, per la pentalogia di Avatar. E sono tanti i competitor di valore in giro per il mondo, basti pensare alla Framestore, la casa che ha regalato al mondo l’orsetto Paddington e che adesso ha accettato la sfida di realizzare tutti gli effetti visivi della versione live action di Dragon Trainer. Una cosa che nel cinema contemporaneo non si fa più preferendo, appaltare a più aziende per velocizzare i processo produttivo.

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Rob Coleman e John Knoll (Photo: Alessandro De Simone)

Ma per tutte loro il pericolo adesso arriva da un’altra parte, dal Sauron del mondo contemporaneo, L’Intelligenza Artificiale. Rob Coleman e John Knoll sono due dei veterani della ILM, li abbiamo incontrati alla Star Wars Celebration Japan 2025 per parlare proprio di questo argomento. Coleman, tanto per intenderci, è l’uomo che ha creato lo Yoda ninja di The Phantom Menace. È in ILM dal 1993 e oggi è il direttore creativo della sezione australiana dell’azienda.

“Avevo 13 anni quando uscì il primo Star Wars. Fu un colpo di fulmine e mi innamorai di tutto il lavoro che c’era dietro. Sono cresciuto in Canada e non avrei mai pensato di avere un’opportunità, ma pian piano, grazie ad alcune decisioni, al mio talento e alle mie capacità naturali, sono approdato alla ILM. Lavorare in questa azienda e guidare le persone è un privilegio e spero di farlo ancora a lungo”.

John Knoll, insieme al fratello Thomas, ha inventato Photoshop.

Sì, proprio quel Photshop, ed ha iniziato la sua carriera nel cinema lavorando a Captain EO, il cortometraggio ad alta definizione diretto da Coppola, prodotto da Lucas e interpretato da Michael Jackson che è stato una delle attrazioni dei parchi Disney per quasi vent’anni.

“È un privilegio poter lavorare con artisti di tale talento. Guardando il documentario ci si rende conto dell’effetto energizzante che si prova stando a contatto con persone intelligenti e autentiche che ogni giorno si mettono al lavoro e dicono: «Oh, che bello! Oh, che figata!». Ti spinge a dare il meglio”.

E il meglio potrebbe essere anche aiutato dalle AI, come d’altronde ha detto lo stesso Cameron, che considera lo strumento un supporto, e non una minaccia destinata a sostituire la creatività dell’uomo. E John è d’accordo con James.

“Penso che abbia perfettamente ragione. I film sono diventati molto, molto costosi. E non credo che il machine learning e gli strumenti di intelligenza artificiale renderanno gli artisti disoccupati. Quello che vedo è che li renderanno più efficienti, consentendoci di fare intrattenimento di alta qualità con budget più ridotti. Le persone continueranno a creare sempre di più e sempre più persone lo faranno”.

Gli fa eco Rob Coleman, che ricorda che “nel 1997, quando abbiamo iniziato Star Wars – The Phantom Menace, cercavamo di ottenere tre secondi di animazione finita per animatore a settimana, che era molto meno di quello che potevamo fare ora. La mia velocità è sempre la stessa, tre secondi, ma la resa è più raffinata. Abbiamo rendering per ottenere effetti più rapidi in tempo reale. Gli animatori seduti alle loro scrivanie non devono inviare il lavoro. Quindi miglioriamo in quello che facciamo, ma impieghiamo lo stesso tempo. Il risultato è una performance migliore. Oppure possiamo fare quello che ha detto John. Possiamo farlo più velocemente e in meno tempo, il che costa meno”.