A proposito di “famiglie”, delle loro difficoltà e disfunzioni, poche relazioni nella nostra epoca sono più problematiche di quella tra il genere umano e la natura di cui pure siamo tutti figli: ed è un nesso che emerge in modi differenti dal terzo gruppo di corti in gara al 15° Ca’ Foscari Short Film Festival (proiettati all’Auditorium Santa Margherita il 20 marzo e in replica il 22, ore 16, nello spazio In Paradiso).
Co-protagonisti in molti di questi lavori sono non casualmente gli animali, a cominciare dal francese The Song of the Sheep (Le cantique des moutons), proveniente dalla Supinfocom Rubika e realizzato da Jules Marcel, Anaïs Castro de Angel, Juliette Bigo, Evan Lambert, Alex Le Ruyet, Jeanne Bigo e Anaïs Ledoux. In appena 8 minuti di crescendo onirico e grottesco, questa tragicommedia in animazione digitale fa a pezzi il mito oleografico di una vita bucolica, seguendo in un piccolo villaggio di montagna la caccia di un contadino alcolizzato a chi gli ha rubato da bere, tra amici-nemici reali o immaginati, pecore e montoni a quattro zampe o antropomorfi. Una parabola iper-etilica con tocchi da western parodico, che raggiunge punte dissacranti quasi buñueliane (anche il Crocifisso di una chiesa si ritroverà a parlare e inveire con una testa ovina).

È invece osservando una mucca che allatta il vitello che la dodicenne Mia trova un correlativo del suo legame con una madre da cui è stata forzatamente separata e che da settimane non riesce a contattare: siamo nel Pantanol brasiliano di My Mother Is a Cow (Minha mãe é uma vaca, Columbia University, School of the Arts), firmato da Moara Passoni, che segue la strada di un realismo magico rappreso in simboli onirico-religiosi, fra veli, corone di spine rifunzionalizzate e giaguari che incombono come la tigre di William Blake. Ma la vera minaccia è l’agire umano, che violenta e divora la terra una fiamma (infernale) dopo l’altra.
Dal Brasile all’Argentina, ma sempre in un’America Meridionale sotto attacco di interessi rapaci e autodistruttivi, la deforestazione è il macigno attorno a cui vagano i personaggi di Our Own Shadow (Nuestra sombra, dalla Kunsthochschule für Medien Köln – KHM, selezionato alla Quinzaine di Cannes): qui lo sguardo, per la regia di Agustina Sánchez Gavier, è tanto più corale, dividendo la scena fra diverse storie, generazioni e dolori che attendono e attraversano il buio di un’antonioniana eclissi. E che l’ambiente con le sue ferite sia il vero protagonista lo conferma l’indugiare della macchina da presa fra totali immersi nell’ombra di un presagio di fine del mondo e alberi che cedono sotto il fischio prolungato della sega elettrica: «Stanno prendendo tutta la foresta».
Il paesaggio e la sua fauna, fatta di galli silenziosi e cani che abbiano in notti che paiono eterne, hanno un ruolo chiave anche in Echoes of Silent Roosters (Gure oilarra kanporan da, ESCAC Films – Escola de Cinema i Audiovisuals de Catalunya), con cui Carlota Galilea ci offre uno spaccato malinconico di un popolo basco rurale in crisi d’identità, tra le ferite e crepe del passato e un futuro in cui ancora si fatica a entrare. Al centro, uno sconsolato perdersi e cercarsi, che ci offre uno dei finali più intensi visti sin qui al Concorso.

Lo scorrere talvolta impietoso del tempo informa di sé anche il polacco Here for You (Jestem, di Cezary Orłowski, Warsaw Film School), che torna al cuore del tema dominante di questo Short con il coming of age sentimentale di Bartek, un ragazzo con sindrome di Down figlio e collaboratore di un’impresaria funebre. Mentre quest’ultima, sapendosi prossima alla morte, cerca segretamente di filmare per lui un commiato che rimanga oltre l’autoritaria freddezza con cui abitualmente lo tratta, il ragazzo vive il suo breve ma non per questo effimero idillio con Sandra. Aprendo il corto a momenti di poesia tra Chaplin e Kaurismäki, dove i due innamorati ridisegnano la loro utopia di giocosa e anarchica complicità, anche sullo sfondo dei detriti e delle carcasse di uno sfasciacarrozze.