Short 2025 – Gli ultimi corti in gara, tra amore, morte e difficili coming of age

Proiettati il 22 marzo al festival dell'Università Ca' Foscari di Venezia i film 3MWh, Crac!, Cura sana, Lunge, Waterline e Heart Flutters, che hanno chiuso il Concorso Internazionale.

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Il Concorso Internazionale del 15° Ca’ Foscari Short Film Festival ha calato i suoi ultimi 6 corti (proiettati il 22 marzo all’Auditorium Santa Margherita), raccontandoci ancora una volta, attraverso stili e contesti differenti, gli slanci e le cadute di genitori, figlie e figli in percorsi (spesso di crescita, o di sofferta rinascita) che intersecano tante forme di isolamento e connessione, amore e conflitto.

Tra queste polarità si dibattono le protagoniste del pluripremiato (anche alla 74ma Berlinale) Cura sana (ESCAC Films – Escola de Cinema i Audiovisuals de Catalunya), dove la regista Lucía G. Romero rielabora il proprio vissuto personale, stringendo lo sguardo sulla giovane Jessica. La cui posta in gioco, tra l’oppressione domestica di un padre disfunzionale e le difficoltà economiche della famiglia, è emanciparsi dal circolo della violenza che lei stessa rischia di perpetuare ai danni di sé stessa e della sorellina Alma. Ma il desiderio di vita e liberazione, benché frustrato e ferito, continua a pulsare nei micro-movimenti nervosi della macchina a mano, e nel finale ribalta la rabbia e la disperazione in complicità e tenerezza, sottraendo alle offese del presente un rifugio aperto sul futuro.

Un’immagine di Cura sana.

Un abbraccio di affetti opposto alla brutalità del mondo è anche quello fra i personaggi del polacco Heart Flutters (Hercklekoty, di Eliza Godlewska e Alan Ruczyński, Academy of Fine Arts in Warsaw). Stavolta è il legame tra un padre operaio single e la figlia adolescente a dover fare i conti con una spirale di ostilità nutrita (anche) dalla collera di chi subisce le ingiustizie. E il dilemma su cosa sia giusto fare per il bene proprio e delle persone a cui si tiene non trova facili soluzioni, esplodendo nel grido di vittime che si ostinano a non voler diventare carnefici. E il crescendo emotivo lascia il segno, grazie a uno sguardo realistico, sobrio e carico di pietas che fa pensare agli imperfetti eroi del quotidiano di Ken Loach.

Troviamo poi ragazzi costretti a maturare faticosamente, fra i tumulti ereditati dalla società, in Waterline (Línea de flotación, di Lucila De Oto e Gastón Bonalve, Universidad de Buenos Aires) e Lunge (di Negar Hassanzadeh, CalArts – California Institute of the Arts). Il secondo, con uno spunto che ricorda il recente Tatami, mette in scena la crisi di una schermitrice iraniana (interpretata dalla stessa regista) vicina all’oro olimpionico, costretta tuttavia a scegliere se ritirarsi in ossequio al divieto governativo di gareggiare con un’atleta israeliana, o battersi rompendo il tabù a rischio (anche) di ripercussioni sulla propria intera squadra. Ed emerge anche da questo dramma sportivo una complessa dinamica padre-figlia, nel rapporto con un allenatore che in passato ha dovuto prendere la stessa, angosciosa scelta.

Ma è Waterline a sorprendere di più, nelle sue variazioni di registri e ritmi, tra un avvio quasi lirico e un’impennata da thriller di denuncia civile, il cui crescendo rallenta però temporaneamente nell’immersione-riemersione che è il battesimo politico del figlio di un’attivista per l’ambiente ucciso dalla polizia. Siamo infatti tornati nell’Argentina sotto attacco di poteri rapaci che vogliono dissanguarla, ma la luce fredda di uno spietato Far West latino contemporaneo è rotta dallo sparo di un segnale di soccorso che risveglia, letteralmente e allegoricamente, una comunità non ancora sconfitta.

L’ultima sestina di corti dello Short 2025 ci ha infine offerto due oggetti opposti e complementari nella loro meditazione sulla permeabilità del confine tra vita e morte, il ceco 3MWh di Marie-Magdalena Kochová (FAMU – Film and TV School of Academy of Performing Arts in Prague) e il francese Crac! di Dimitri Martin Genaudeau (La Fémis, Doctorat SACRe).

L’uno, girato in 16 mm, si muove tra suoni stranianti, campi lunghi quasi tarkovskijani e lampi allucinati da teorema (del delirio) di Aronofsky : dove il numero, stavolta, è però quello della quantità di energia elettrica di cui necessiteremmo per un adeguato livello di benessere, 3 MWh a testa annuali, appunto. Nell’Occidente della modernità industriale ne consumiamo molta di più e, spoiler, questo non sembra renderci più felici. Ma, quasi come in un apologo letterario di Paolo Volponi, il personaggio-narratore, dal suo lavoro in una centrale nucleare, trova la risposta tra ossessione e utopia nel fissare autonomamente la propria di soglia energetica da spendere nell’arco di una vita. E l’esperimento di economia pianificata individuale culmina in una bara-culla dove la materia si ridona a sé stessa.

Un’immagine di 3MWh.

È poi decisamente bizzarra (e, pur giocosamente, scandalosa) la love-story propostaci da Crac!, fra un’escursionista e uno scarafaggio (una delle oltre 450 specie di insetti che, ci viene detto, possono popolare una vecchia quercia come quelle della foresta in cui si svolge la vicenda). La temporanea curiosità dell’umana innesca nel piccolo esserino realizzato in animazione, sin troppo vulnerabile allo stupore dell’esistenza, una passione che, dal dono di un fiore, arriva fino a uno slancio suicida di amour fou. Regalandoci, comunque, una favola ecologista fuori dagli schemi, piena di umorismo (anche nero) e stralunato romanticismo, che è anche l’ennesima prova di quanta creatività passi nel cinema in festa allo Short.