A dieci anni (e più) dal suo precedente Bends, è un piacere ritrovare Flora Lau, in anteprima al Sundance Film Festival 2025, nella interessante sezione World Cinema Dramatic Competition, con il suo nuovo Luz, film a cavallo tra diversi mondi nel quale spicca la presenza di Isabelle Huppert. Con lei, in una storia che va da Hong Kong a Parigi, ma che soprattutto esplora narrativamente una realtà virtuale e parallela, anche Xiao Dong Guo, En Xi Deng e Sandrine Pinna, elementi imprescindibili di quello che viene presentato come un racconto visivamente stupefacente ed emotivamente profondo di amore, perdita e connessione.
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IL FATTO
Nelle strade illuminate al neon di Chongqing, Wei (Xiao Dong Guo), un ex truffatore riformato, cerca disperatamente la figlia Fa (En Xi Deng), da cui si è allontanato. Ren (Sandrine Pinna), una gallerista avvilita di Hong Kong, è a Parigi alle prese con la matrigna Sabine (Isabelle Huppert), malata e impegnata ad assaporare gli ultimi momenti della propria vita, ormai agli sgoccioli. Il distacco dalle rispettive famiglie porta Wei e Ren in un mondo di realtà virtuale noto come “LUZ”, dove la ricerca di un cervo mistico rivela verità nascoste, mentre le loro sfide nella vita reale si rispecchiano nel gioco. Svelare il segreto della ricerca del cervo, simbolo universale di armonia, grazia e saggezza, conduce Wei e Ren non solo al cervo, ma anche alla consapevolezza che le risposte alle loro relazioni familiari si trovano all’interno di loro stessi in questo viaggio di scoperta, connessione e trasformazione.
L’OPINIONE
Facile essere attratti dalla presenza di Isabelle Huppert, nell’intrigante film di Flora Lau, ma per quanto l’attrice francese sia convincente e intensa nel ruolo di una donna sofferente ma risolta, padrona di una sua particolare serenità in un momento chiave della propria vita, è l’intero affresco umano composto sullo schermo l’arma migliore di una storia incentrata sulle diverse esperienze umane e nella quale l’esplorazione della realtà virtuale non sopraffà la narrazione, occupando un livello tra i vari sui quali si sviluppa l’osservazione.
Un piano che permette di spaziare nell’allegoria (dall’inizio alla fine l’animale simbolo scelto dalla regista ci accompagna nella ricerca di un senso, tutto sommato senza deludere) mentre costruisce una storia nella quale i conflitti e le opposizioni – tra genitori e figli, reale e virtuale – coesistono, senza necessariamente trovare una sintesi quanto piuttosto un punto di contatto, un passaggio, una linea di comunicazione. Una possibilità.
A dare forma a tutto ciò, i quattro attori in gioco, a partire dalla Huppert e la più giovane taiwanese Sandrine Pinna, con la quale la sincronia è evidente e che assolve egregiamente il suo ruolo di anello di congiunzione con la vicenda del disincantato Wei di Xiaodong Guo, in cerca di una familiarità con la giovane cam girl Fa. Personaggi funzionali al senso profondo del film, per quanto a tratti possano apparire come elementi secondari rispetto alla funzione svolta e la loro caratterizzazione sembri subordinata all’affresco digitale che istintivamente monopolizza l’attenzione. Ma la freddezza emotiva è solo superficiale e la fascinazione estetica uno strumento, al servizio della Lau e del suo racconto del mondo VR privo di troppi stereotipi, demonizzazioni, spettacolarizzazioni, che la regista normalizza, dando valore al concetto di attesa e sottolineando l’importanza del tempo, da sfruttare in larghezza (o magari in profondità), come diceva Luciano De Crescenzo.
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Da tempo il cinema cerca di trovare un modo per approfittare della realtà virtuale e integrare piani digitali dell’esistenza nelle storie realizzate per il grande schermo, da Il tagliaerbe a Il tredicesimo piano più che Matrix o eXistenZ, ma l’invito è a continuare il viaggio sul piano del sogno e della fantasia. Quella dello splendido Paprika, da poco tornato in sala in Italia, e dell’indimenticabile Principessa Mononoke, con il quale in realtà questo film non ha molto in comune, salvo un unico, simbolico, fondamentale elemento animale.