il 1° settembre a Venezia 81 è il turno del lungometraggio italiano di Biennale College Cinema, terzo dei quattro presentati quest’anno nella sezione: si tratta de Il mio compleanno (90’) di Christian Filippi (già regista dei corti Marciapiede, Il Nido, Il custode e il fantasma), prodotto da Leonardo Baraldi e interpretato da Zackari Delmas, Silvia D’Amico, Giulia Galassi, Simone Liberati, Federico Pacifici e Carlo De Ruggeri. Lo vedremo in anteprima al Lido in Sala Giardino, ore 11 (press & industry) e ore 17 (pubblico & tutti gli accrediti).
È la storia di un difficile percorso di crescita, quello attraversato dal protagonista Riccardino (Delmas) giunto alle soglie dei suoi diciotto anni, gli ultimi quattro dei quali passati in una casa famiglia separato dalla madre, una donna con disturbi di personalità. Nella struttura che lo ospita, il ragazzo è seguito da una premurosa educatrice che vorrebbe aiutarlo a costruirsi un futuro positivo, ma per Riccardino il bisogno di ricongiungersi alla genitrice è così forte da spingerlo a tentare la fuga.
«La genesi del film», racconta il regista, «risale a un laboratorio di scrittura che ho tenuto nelle case famiglia di Roma nel 2018. In seguito ho deciso di raccogliere quanto più materiale possibile dalle narrazioni che i ragazzi, i tutor e gli assistenti sociali avevano condiviso con me per raccontare una storia autentica e, allo stesso tempo, universale».
Un intenso lavoro di documentazione, nella speranza «che lo spirito del film possa davvero rendere l’anima dei personaggi, e soprattutto del protagonista», rappresentante, secondo Filippi, di una nuova generazione di giovani, emarginati, invisibili e senza le figure genitoriali a far loro da guida. «L’approccio di questa generazione alle situazioni dolorose non è semplicemente scoraggiato o passivo», spiega, «ma è invece caratterizzato da un potente senso di ironia e umorismo irriverente, per proteggersi dai propri fantasmi».
Questi elementi accrescono la complessità del personaggio principale, «un’illusionista con un’unica grande illusione, sua madre». Viene in mente la poetica di Pasolini, pensando alla disperata vitalità di Riccardino, che il regista definisce «l’ultimo baluardo di una Roma scomparsa, e della sua gente scomparsa: affamato, primitivo, astuto e sempre un passo avanti. Riccardino, però, è anche fragile: le sue speranze si sono rivelate false ed è pervaso da un profondo senso di ingiustizia. È qui che la sua vitalità si trasforma in rabbia. La sua rabbia si legge nei suoi occhi e nell’impulsività delle sue reazioni aggressive e violente».
«Nel mio approccio visivo», aggiunge Filippi a proposito dello stile del film, «ho cercato di far coincidere la realtà della storia con le illusioni dei pensieri del protagonista, provando ad entrare nella sua testa e percepire il mondo intorno come lo percepisce lui stesso».