By Design, la recensione della Miglior Sceneggiatura del Sundance

Un film dal cast molto ricco, in una storia surreale e unica

0
By Design Sundance 2025

Se Oliver Sacks aveva raccontato “L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello”, la scrittrice e regista Amanda Kramer va oltre nel suo By Design, presentato nella sezione NEXT del Sundance Film Festival 2025. E nel quale ‘vediamo’ la protagonista Juliette Lewis trasferire la propria coscienza dentro tutt’altro tipo di oggetto inanimato, una sedia. Una premessa surreale per una allegoria unica, difficilmente immaginabile, realizzata come una favola epica, quella della spaesata e ossessiva Camille, la protagonista di un gioco tanto creativo quanto non facile da accettare e di una simbolica fuga.

LEGGI ANCHE: Sundance 2025, tutti i vincitori e i film premiati

IL FATTO

Camille è una donna benestante, abituata a una routine nella quale le apparenze contano molto, forse più della sostanza, e che condivide con due sue amiche, troppo abituate a parlarsi addosso, e forse anche alle spalle degli altri. Durante uno dei loro tour dei negozi della Los Angeles alla moda, Camille vede una sedia a suo modo di vedere perfetta, un pezzo unico del quale si innamora ma che non ha i soldi per comprare subito… Invitata a tornare, per finalizzare l’acquisto, la donna è travolta dalle emozioni e finisce per essere vittima di una sorta di transfer, praticamente diventando la sedia stessa, che viene regalata all’insoddisfatto Oliver (Mamoudou Athie), pianista senza ingaggi fissi, dalla sua ex, prima che anche le due amiche di Camille possano rimediare alla situazione o accorgersi di quel che è successo.

by design

L’OPINIONE

Nemmeno Kafka era arrivato a tanto, ma nell’anno di The Substance deve essersi diffusa una certa indulgenza nei confronti di arditezze varie ed ecco che il Sundance appare l’opera – più audace che “innovativa” o “lungimirante” (tanto per restare alla descrizione della sezione NEXT che la ospita) – di una regista non nuova a esprimere la sua creatività fuori dai canoni più abituali… anche a costo di non incontrare il gusto altrui o di risultare poco digeribile, quando non comprensibile.

Dopo aver raccontato una full immersion nelle ansie dell’adolescenza e del moderno nel Ladyworld del 2018 e l’identità sessuale e di genere nel Please Baby Please del 2022 ed essere passata dal glamour di Give Me Pity! dello stesso anno al cyberspazio e la nostra ossessione per la tecnologia, in So Unreal, oggi al centro della sua riflessione c’è il consumismo, il bisogno di possesso, a ogni livello, e di riconoscimento attraverso la possibilità di soddisfare ogni tipo di desiderio. Oltre alla frustrazione che provoca il senso di non appartenenza a una società che poco considera l’individuo, e lo valuta su basi esclusivamente oggettive.

Come si potrebbe fare con un oggetto esclusivo, un’opera unica che potrebbero permettersi in pochi, come la sedia “d’artista” che la nostra protagonista vuole talmente far sua al punto da perdere la propria coscienza, annullarsi completamente e spingere alle estreme conseguenze la fuga dalla propria insicurezza, e inadeguatezza. Evidenti nella scena iniziale, premessa della tragicommedia che segue, nella quale la Lewis regala una splendida Camille e invita tutti a una facile identificazione.

LEGGI ANCHE: Sorry Baby, la recensione del film del Sundance comprato dalla A24

Non immediatamente digeribile e esageratamente aperto a diverse traduzioni, pur faticoso e spesso estremo nel suo sviluppo, per fortuna il film fa dell’ironia – su illustri precedenti e sui destinatari di certe performance artistiche, e sulla tendenza di parte della società a restare schiava di pregiudizi e status symbol – la sua chiave principale. Riuscendo, nonostante una certa prolissità e autoindulgenza, a coinvolgere coerentemente gli altri personaggi coinvolti, dal ‘pianista’ Mamoudou Athie al ‘creatore’ Udo Kier e le due amiche Samantha Mathis e Robin Tunney (ai quali va aggiunta la narratrice Melanie Griffith).

Teatrale, a tratti pittorico, apparentemente scarno, ma con una cura per i dettagli e una pulizia formale tali da farne quasi una ‘installazione’, anche per gli intermezzi danzati e alcuni momenti di grande fisicità, By Design finisce per essere un film per pochi, forse solo per alcune “bolle”. Eppure il suo messaggio resta universale, sia per l’aspirazione a un amore assoluto e totalizzante, sia per la ricerca di un senso, ma soprattutto per la lezione finale contenuta nell’invito a trovare la felicità nella condivisione, liberi da invidie e sensi di colpa inutili (che siano indotti culturalmente o dalle credenze e sistemi di valori di ciascuno).

LEGGI ANCHE: Sundance 2025, l’italiano GEN_ e tutti i film in concorso

SE VI È PIACIUTO BY DESIGN, GUARDATE ANCHE…

In genere la destinazione preferita per le anime viaggiatrici, sul grande schermo, tende a essere quella di bambole, poi possedute da entità maligne come in Annabelle e Chucky – La bambola assassina, o eccezionalmente come lo specchio di Oculus (2013) o il letto di Death Bed: The Bed That Eats (1977), ma a meno che non siate appassionati del genere non vi consigliamo di approfondire l’argomento, vista la trattazione tanto diversa da quella in questione. O di volgervi a ‘rianimazioni’ più classiche, come quella del Mannequin del 1987 o dell’Air Doll! del 2009, piuttosto che altre più celebrate.

 

RASSEGNA PANORAMICA
VOTO
by-design-la-recensione-della-miglior-sceneggiatura-del-sundanceId., Usa, 2025. Regia: Amanda Kramer. Con: Juliette Lewis, Mamoudou Athie, Melanie Griffith, Samantha Mathis, Robin Tunney, Udo Kier. Durata: 1h e 32'