Da La polizia ringrazia, capostipite del “poliziottesco”, al cult Febbre da cavallo, con gli ippodromo-dipendenti Gigi Proietti ed Enrico Montesano che si sono impressi nel bestiario della nostra commedia, passando per l’adattamento del romanzo giallo La donna della domenica di Carlo Fruttero & Franco Lucentini, Alessandra Riccardi Infascelli ha attraversato e scritto, da produttrice (e non solo) un pezzo, vitalissimo e probabilmente irripetibile, di storia del cinema italiano. È stata lei stessa a rievocare le tappe della sua carriera al 15° Ca’ Foscari Short Film Festival, cui partecipa in veste di giurata con la regista Malou Lévêque e l’art director britannica Barbara Biddulph (a tutte e tre la manifestazione diretta da Roberta Novielli ha dedicato un denso programma speciale).
«Un’esperienza straordinaria», dice Infascelli a proposito della sua presenza allo Short, dove ha particolarmente apprezzato, per qualità media e varietà degli argomenti trattati, i 29 corti ammessi al Concorso Internazionale. Al punto che «è stato molto difficile lavorare solo su tre premi, ne avrei dati molti di più». Ed è felice di come «i corti stiano cominciando ad avere più spazio», dopo «un rifiuto culturale che non ho mai capito. Ci sono anche registi importanti che dicono di non amare i corti, secondo me sbagliano. Perché nel corto la contrazione del racconto fa vedere la bravura, se c’è». Un pregiudizio analogo è stato, almeno per lungo tempo, subito dal documentario, in cui la produttrice si è «buttata» con passione a partire dagli anni ’80.
Prima di quella svolta, però, c’è stata la fase del cinema di finzione, col marito Roberto Infascelli (venuto a mancare nel 1977) e poi da sola, partendo da Le soldatesse (1965) di Valerio Zurlini e proseguendo con successi come quel Febbre da cavallo (1976) che segna un apice del sodalizio tra la coppia di produttori e il regista Steno: «Era un genio», afferma lei, ricordando però che il film non ci sarebbe stato senza l’apporto di «un grande sceneggiatore, Alfredo Giannetti, quello di Matrimonio all’italiana».

Alla base c’è «un incidente del quale sono felicissima», ovvero l’incontro, mentre si girava La donna della domenica, con la vera vicenda di un marchese, genero della moglie di Luigi Comencini, talmente ossessionato dalle scommesse sui cavalli che «si era giocato tutta Napoli!». Il trattamento da cui nascerà Febbre da cavallo era suo, fu comprato per aiutarlo economicamente, e perché nel leggerlo «rido dall’inizio alla fine», spiega Alessandra Infascelli. Il film, aggiunge, «al cinema andò e non andò, soprattutto nel Nord dove non era la loro “cup of tea”», ma poi «venduto alle televisioni negli anni ’80 è esploso». Oggi, scherza la produttrice, è talmente popolare che «se incontro un vigile gli dico “Fischio maschio!”, e non si paga la multa!».
Steno firma anche, ma col nome completo di Stefano Vanzina per evidenziare i toni molto distanti dal cinema comico e brillante, La polizia ringrazia (1972): dove, nel clima teso del periodo, Enrico Maria Salerno è un commissario in rotta col garantismo di leggi e superiori, ma ugualmente determinato a contrastare (anche) una società segreta eversiva, con appoggi ai vertici della classe dirigente, che va in giro a giustiziare chi commette crimini e illegalità, preludio a un vero e proprio colpo di Stato. Il soggetto, non a caso, prende le mosse da un’inchiesta giornalistica su un vero tentativo di golpe.
Lo spaccato risulta efficacissimo, addirittura anticipando la cronaca: «Abbiamo girato a Brescia, c’erano i primi sequestri dei grandi industriali. Lucchini, il grande acciaiere, ci regalò l’ufficio dove abbiamo girato. E in seguito venne rapito suo figlio, per fortuna andò a finire meglio di come accade nel film».
Da La polizia ringrazia prende il via un vero e proprio filone, in parte alimentato dagli stessi Infascelli coi successivi La polizia sta a guardare (dove Roberto è anche regista) e La polizia chiede aiuto di Massimo Dallamano (al crime di casa nostra Alessandra tornerà con Da Corleone a Brooklyn di Umberto Lenzi e Luca il contrabbandiere di Lucio Fulci). E certi spunti politici della pellicola di Steno (mentre si discutono leggi ulteriormente repressive di protesta e dissenso presentandole come provvedimenti per la “sicurezza”) sono ancora «di un’attualità sconvolgente»: tanto che, la produttrice ne è convinta, «sarebbe il momento di riprendere in mano un cinema poliziesco “colto”, diverso. Che racconti la società, dove oggi c’è un’involuzione».

Alessandra e Roberto Infascelli (il cui figlio Alex, tra l’altro, li seguirà proficuamente sulle vie del cinema) si erano già cimentati con un altro glorioso esempio di genere “all’italiana”, il western. Ed è una storia tanto più sorprendente, che segna anche il percorso dell’ex Beatle Ringo Starr. Il merito, specifica Alessandra, è anche del padre di Roberto, Carlo, a sua volta produttore: «Aveva imposto al figlio di girare il mondo e imparare le lingue, all’epoca era rarissimo che uno sapesse parlare perfettamente inglese e francese. Per un caso fortuito, poi, incontrammo Allen Klein, il manager dei Rolling Stones. E cominciai a frequentarli nel New Jersey: a colazione, nel fumo… Non vi dico altro!».
Da lì conosceranno anche Starr, che diventa amico degli Infascelli (i due gli presentano anche la futura consorte Barbara), proponendo loro di lanciare un attore italo-americano Anthony Pettito, con cui aveva legato durante la guerra in Vietnam. Pettito, con lo pseudonimo di Tony Anthony, sarà non casualmente il volto dei tre western prodotti da Alessandra e Roberto: Un dollaro tra i denti, Un uomo, un cavallo, una pistola (entrambi del 1967 e diretti da Luigi Vanzi) e Blindman (1971) di Ferdinando Baldi, dove il celebre musicista è anche tra gli interpreti, nei panni di Candy: «Quando abbiamo scritto la sceneggiatura, all’inizio è impazzito perché non voleva fare quel ruolo». Ma poi «accetta, essendosi innamorato di noi e della cultura italiana, perché dietro quei western c’era cultura».

Si rivela un altro exploit produttivo dei due coniugi la trasposizione de La donna della domenica (dopo aver abbandonato la Salon Kitty di Tinto Brass, «un coacervo di complicazioni»), trovando una squadra perfetta in Luigi Comencini alla regia, Age & Scarpelli alla sceneggiatura e Marcello Mastroianni (affiancato, tra gli altri, da Jacqueline Bisset e Jean-Louis Trintignant) nei panni del commissario Santamaria: «Marcello si è divertito tantissimo», rammenta Alessandra Infascelli, che ritrova il grande attore in un successivo giallo, Doppio delitto (1977) di Sergio Corbucci, stavolta dal romanzo Doppia morte al Governo Vecchio di Ugo Moretti. La chimica fra Mastroianni e la produttrice è profonda: non per nulla, rimarca lei, «Eravamo tutti e due della bilancia e amavamo la grappa!».

Dopo la scomparsa di Roberto Infascelli e altri progetti come lo sfortunato film di Mauro Bolognini Gran bollito (1977), ispirato alla serial killer Leonarda Cianciulli e con un cast d’eccezione che annovera nomi come Shelley Winters e Max von Sydow, ma penalizzato da un titolo fuorviante imposto dalla distribuzione (in luogo dell’iniziale La signora degli orrori), avverrà la svolta della produttrice nel documentario. «Per me questo passaggio è stata una scelta di vita nuova», sottolinea lei.
All’origine c’è l’incontro con Alessandro Giupponi, intellettuale e uomo di teatro che sarà suo compagno per oltre trent’anni: «Il teatro mi piaceva, volevo provare a fare l’imprenditrice in quel settore: ho perso i soldi e mi sono fidanzata», sintetizza ironica lei. Tra i lavori di questa fase (diretti quasi tutti da Giupponi), Alexander Dubček: Le radici del futuro (1995) e Marconi – Il mago delle onde (2007), mentre la stessa Infascelli si mette dietro la macchina da presa firmando Lo splendore della verità: Paolo VI (2018): «Ho creduto fortemente nella documentaristica intelligente, non noiosa», dice lei, «che avesse dentro il cinema, che fosse già cinema».