THE SILENCE OF LIFE
Slovenia 2024, 87’
Attraverso l’esperienza di Manca Kosir, una donna forte e positiva che presta volontariato in un hospice, il film affronta con franchezza il tema della morte, invitando lo spettatore a partecipare a una celebrazione della vita. La storia intima di Manca ci guida in un viaggio verso l’accettazione della morte, riflettendo sulla bellezza dell’esistenza. Da anni ha pronte le sue parole per il funerale e ha già scelto un luogo nel cimitero, poiché è profondamente convinta che la morte rappresenti un aspetto imprescindibile della vita. Le sue qualità più nobili risiedono nella consapevolezza del tempo e della fragilità della mortalità.
La regista, Nina Blažin
(1980) ha conseguito il diploma in regia televisiva e cinematografica nel 2006 presso l’Accademia Nazionale del Cinema AGRFT. Il suo primo documentario, How Much Do You Love Yourself?, ha vinto un premio come miglior film e uno per il miglior montaggio nel 2018 al Festival del cinema sloveno ed è stato poi selezionato per festival Hot Docs di Toronto. Nel 2014 è stata selezionata per il workshop internazionale dell’associazione Aristoteles, in collaborazione con ARTE e CNC. È stata la coordinatrice della troupe del corto Just the Two of Us, poi selezionato e premiato in vari festival internazionali. Silence of Life è stato sviluppato con il supporto dei workshop internazionali di documentario Eurodoc Novi Sad 2019 e Balkan Documentary Center 2020.
«La spinta a realizzare questo film affonda le radici nella perdita di mio padre – ammette – L’opera indaga le complesse questioni della mortalità e del tempo che ci è concesso». Cosa conta davvero nella vita? La figura di Košir, una fervente sostenitrice delle cure palliative, funge da fulcro per un’esplorazione profonda sul tema. La mia personale esperienza di elaborazione del lutto si riflette nel racconto, con l’intento di rendere tangibile l’universalità di queste emozioni. Come regista, ho voluto creare uno spazio in cui gli spettatori possano rispecchiare le proprie esperienze di perdita. Questa è una storia che abbraccia il tempo, la partenza, l’amore e la celebrazione della vita».
IMMÉMORIAL, CHANTS DE LA GRANDE NUIT
Francia 2024, 112’
La morte è all’orizzonte di ogni vita, eppure non ne sappiamo nulla e non possiamo dire nulla al riguardo. Si può solamente cercare di afferrare alcune riflessioni attraverso lo specchio che le porgiamo: miti, rituali, danze… che diventano così luoghi in cui possono stabilirsi legami con l’inspiegabile.
La regista, Béatrice Kordon
(Francia), dopo essersi laureata alla scuola di cinema La Fémis, è rapidamente approdata alla regia di film che esplorano e interrogano la natura del linguaggio. Le sue opere si collocano all’incrocio tra il processo documentaristico, il cinema sperimentale, la creazione sonora e le belle arti, tessendo molteplici fili tratti da varie fonti – video, film, pittura, immagini d’archivio. Tra i suoi film figurano Héros Désarmés (1997), Tu crois qu’on peut parler d’autre chose que d’amour (1999), co-diretti con Sylvie Ballyot, Dithyrambe pour Dionysos (2008), Les Insensés, fragments pour un passage (2014) e Immémorial chants de la grande nuit (2024). Oltre a dirigere i film, collabora con altri registi occupandosi della fotografia o del montaggio, ha condotto workshop di regia in diverse istituzioni e ha iniziato a collaborare, nel 2018, con il mondo delle arti performative. Dal 2013, si dedica anche a sculture e installazioni in legno.
«Dieci anni fa ho accudito mio padre durante la sua lunga agonia in un’unità di terapia intensiva – racconta – Un’unità di terapia intensiva è un luogo particolare, a cavallo tra il mondo dei vivi e quello dei morti, dove questa stessa barriera diventa irrilevante: come una manifestazione del limbo. Mio padre e io eravamo immersi in questa condizione, in una relazione intima e incommensurabile, ben oltre il suo silenzioso coma e le macchine che lo tenevano artificialmente in vita. Ho vissuto momenti toccanti, spesso difficili, ma anche molto sereni e talvolta felici – una delle tante contraddizioni con cui ho dovuto fare i conti. Con il passare delle settimane, ho visto i miei punti di riferimento svanire uno dopo l’altro. La linearità del tempo e i contorni dello spazio gradualmente avevano perso le loro abituali caratteristiche, aprendomi a un mondo che sembrava essersi improvvisamente ampliato, allo stesso tempo sereno e caotico».