«Riempire questa sala è già un grande orgoglio. È un posto è bellissimo, non apriamo con una proiezione per non rovinare l’incanto di questo salone. Ci penserà il Festival». Così il Direttore Artistico del TFF Steve Della Casa ha accolto il pubblico della sontuosa ed elegante Reggia di Venaria all’inaugurazione del 41esimo Torino Film Festival, replicando, per il secondo anno consecutivo, l’appuntamento con il programma radiofonico Hollywood Party in diretta su Rai Radio 3.
Prima di lui, è stata la madrina Catrinel Marlon a fare gli onori di casa: «Torino è il mio posto del cuore, la mia famiglia è nata qui e a questo Festival porto la mia opera prima, Girasoli, girata in Romania» ha detto emozionata sul palco, con tanto di pancione da gravidanza, prima di lanciare un messaggio in onore di Giulia Cecchettin e di tutte le donne: «Siate autrici della vostra vita».
La serata, in sinergia con lo spirito di ricerca che da sempre contraddistingue la manifestazione, ha avuto come ospite d’onore «il cuore incantatore» Pupi Avati, raccontato attraverso le parole di Micaela Ramazzotti, Neri Marcorè e suo fratello Antonio Avati. «Ricordate che anche se siete imbranati, potrebbe sempre chiamarvi Pupi Avati per fare un suo film» ha scherzato Neri Marcoré, che con il maestro ha avuto un doppio imprinting importantissimo, dapprima con Il cuore altrove (2003) e nel 2005 con La seconda notte di nozze al fianco di Katia Ricciarelli. «Ci sono tre parole che descrivono al meglio Pupi: coraggio, curiosità e identità» ha continuato Marcoré. «È un regista che ha sempre nuovi stimoli, sperimenta generi diversi ma è sempre coerente a se stesso. Potrebbe avere uno spazio nel dizionario: quando pensiamo a un “film avatiano” sai benissimo cosa vuol dire».
Anche Micaela Ramazzotti è stata scoperta da Avati, a soli diciassette anni come comparsa ne La via degli angeli nel 1999, per poi ritrovarlo ne Il cuore grande delle ragazze (2011) e nella miniserie tv Un matrimonio. «Spesso quando sei sul set i registi sono lontani, barricati dietro i monitor. Invece Pupi è sempre lì, accanato a te. Lo senti respirare, lo percepisci. Ti ascolta, ti guarda, ti viene vicino e ti incoraggia».
Ma è lo stesso Avati a raccontarsi nel corso della serata, parlando del suo passato nel mondo della musica, quando si ritrovò a far parte di una banda jazz come clarinettista. «Ci entrai per far colpo sulle ragazze. Nel dopoguerra eravamo tutti brutti, dei mostri. È stato sufficiente mettermi al collo un clarinetto per suscitare interesse». Fino a che in quella stessa banda non si ritrovò Lucio Dalla: «Lui suonava il clarinetto. Ce lo siamo portato in giro per l’Europa finché non esplose. Lucio è l’essere umano più straordinario che abbia mai incontrato, qualsiasi cosa toccava, aveva grazia. Proveniva da un mondo degli elfi, misterioso» racconta Avati.
Sul finale, l’omaggio di Vittorio Sgarbi, con il quale Avati ha collaborato al film Lei mi parla ancora, tratto dal romanzo scritto dal padre, Giuseppe Sgarbi, e dedicato a sua madre. «Pupi è un regista di fondamentali principi cristiani – ha detto il Sottosegretario al Ministero della cultura – Gli ho dato possibilità di fare un film sui miei genitori, che si sono amati per 65 anni. Pertanto porta in sé qualcosa di me: la forza dell’amore di una donna».