Quir, Nicola Bellucci: «racconto la lotta sui diritti e le nuove identità a Palermo»

Quir è una meravigliosa storia d’amore raccontata da Nicola Bellucci (Il mangiatore di pietre, Grozny blues) nei confronti di Palermo, anzi a voler essere precisi, nei confronti di una parte della città. Una narrazione diversa e moderna del capoluogo siciliano, non più e non solo terra di mafia e antimafia, ma anche avamposto di accoglienza, di integrazione e di diritti.

Il regista tenta di fare emergere con questo film, che arriverà nelle sale in autunno distribuito da Wanted Cinema, qualcosa di diverso che esiste, che è reale, ma che altri magari non vedono o meglio, preferiscono non vedere.

A Palermo, nel popolare quartiere di Ballarò, c’è un negozio diverso da tutti gli altri che si chiama Quir, un luogo pregno d’amore che sfida ogni convenzione. I proprietari sono Massimo e Gino, che stanno insieme da quarantadue anni, forse la coppia gay più longeva d’Italia. Il loro piccolo negozio di pelletteria è diventato nel tempo un importante punto d’incontro della scena LGBTQI+ locale che lotta per l’accettazione in Sicilia, una roccaforte della cultura patriarcale.

Una sorta di consultorio dove le persone chiacchierano delle loro storie d’amore, chiedono consigli esistenziali o molto semplicemente hanno bisogno di compagnia. Un luogo vitale per tutta quella popolazione queer che vive l’emarginazione sociale, un pronto soccorso dell’anima indispensabile per alleviare la solitudine di una persona anziana, di una transgender, di quella umanità che dalla maggioranza viene etichettata come “freaks”. Un posto frequentato da gente quotidianamente discriminata ma tollerata a patto che resti nell’anonimato. Un avamposto speciale per la conquista del diritto ad esistere.

Bellucci perché ha deciso di raccontare la parte freaks di Palermo?

Perché è una parte fondamentale. Entrare dentro questo mondo è stato un viaggio incredibile. All’inizio pensi ancora alla mafia, alla Palermo diciamo patria del paternalismo. In realtà Palermo negli ultimi 10-15 anni è cambiata anche in questo, nel tessuto sociale che si è trasformato tantissimo. Forse quello che una volta era appunto tutto centrato sul discorso mafia, adesso la lotta, che negli ultimi anni a Palermo è in atto, è quella sui diritti, dei corpi, sulle nuove identità e sull’integrazione.

La potenza del film è riposta nelle storie vissute dei protagonisti. Come li ha scelti?

Sono stato per un periodo a Palermo e ho conosciuto Massimo e Gino in occasione del loro matrimonio. Si sono sposati per onorare e ricordare la morte di questi due giovani di Giarre, un efferato omicidio avvenuto nel 1980. Questa cosa mi aveva colpito molto e l’idea iniziale del film era infatti quella di raccontare la storia di quei due ragazzi ma poi è arrivato prima il film Stranizza d’amuri di Giuseppe Fiorello.

Le è piaciuto?

Un film abbastanza interessante, ovviamente essendo un film di finzione poi lì si va verso altre direzioni.

Ha deciso quindi di concentrarsi sulla bottega di Massimo e Gino?

Si, perché mi sono accorto, diciamo piuttosto alla svelta, che quel film non era una cosa che potevo fare io. Attraverso l’incontro con Massimo e Gino invece, piano piano, sono venuti fuori altri personaggi interessantissimi, altre cose, tutte quasi casuali. A me poi piace entrare dentro un mondo e farmi trascinare dalle cose, dagli incontri inaspettati, e quindi si è scatenata una cosa incredibile, una reazione a catena. Massimo e Gino sono due magneti, sono due persone che a Palermo nessuno può ignorare,  con tutto un mondo che gira intorno a loro che ha tanta voglia, quasi una necessità di raccontarsi.

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