“La rieducazione” di Aurelio Grimaldi e “Quir” di Nicola Bellucci

Proseguono il 14 luglio al 70° Taormina Film Festival le proposte di Officina Sicilia, con due prime mondiali italiane nella Sala A del Palazzo dei Congressi: alle ore 14.30 si parla di carceri e della loro (spesso disattesa) funzione riabilitativa ne La rieducazione (2024, 72’) di Aurelio Grimaldi, alla presenza del regista e del protagonista Tony Sperandeo. A seguire, ore 16.30, ci immergiamo nella comunità LGBTQ+ palermitana col doc Quir (2024, 105’) di Nicola Bellucci, assieme a quest’ultimo, al produttore Frank Matter e ai protagonisti Massimo Milani, Gino Campanella, Carlo Abbadessa, Vivian Bellina ed Ernesto Tomasini.

La rieducazione

In Italia le pene carcerarie, stabilisce la nostra Costituzione all’Art. 27, «non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato»: ed è, non casualmente La rieducazione il titolo del nuovo lungometraggio di Aurelio Grimaldi (tra i suoi precedenti lavori, Rosa Funzeca, L’educazione sentimentale di Eugènie, Alicudi nel vento, Il delitto Mattarella), prodotto da Arancia Cinema e in prima mondiale al Taormina Film Festival.

Ci si richiama perciò alla funzione riabilitativa che nel nostro ordinamento dovrebbe avere la detenzione, e che troppe volte rimane lettera morta, in un Paese dove, solo dall’inizio di quest’anno, sono già 50 i suicidi nelle carceri (nel 2022 furono addirittura 85). Grimaldi, però, continua a credere in quel fondamentale principio costituzionale, anche per chi abbia commesso gli errori più gravi. Come “il signor Salvatore”, capo mafioso (interpretato nel film da Tony Sperandeo) condannato all’ergastolo e detenuto al 41bis. Lo stesso Grimaldi si cala nel ruolo di un docente di psicopedagogia che chiede di applicare il protocollo rieducativo anche per lui.

Per il regista, non a caso, insegnare in una prigione è sempre stato un «sogno di gioventù». Sin da quando «misi piede, giovanissimo, fresco fresco vincitore di concorso di prima nomina, al carcere minorile Malaspina di Palermo». In quegli stessi giorni «litigavo coi miei amici palermitani (io avevo vissuto i miei primi 20 anni nel profondo nord lombardo-quasi-svizzero) sostenendo che mi sentivo già pronto ad occuparmi anche della “rieducazione” di Totò Riina, a quel tempo latitantissimo».

Da quell’esperienza, dunque, ha preso forma il film: perché, rimarca Grimaldi, «il cinema è sogno ma anche realtà». E perché la Costituzione «resta il perno per la nostra difficile, faticosa ma necessaria democrazia». 

Quir

Si chiamano Massimo e Gino, e da quarantadue anni formano una delle coppie queer più longeve d’Italia: sono loro i protagonisti del documentario Quir di Nicola Bellucci (già regista nel 2019 de Il mangiatore di pietre), in prima mondiale a Taormina e prossimamente nelle sale con Wanted Cinema.

«Si comincia sempre dall’amore. Io questa volta mi sono “innamorato” di Massimo e Gino», spiega Bellucci, per cui tutto è iniziato «passando un giorno davanti al Quir, la loro bottega in un vicolo di Ballarò, un quartiere di Palermo. Ben presto ho capito che quello che doveva essere un negozio dove si vendono borse e altri oggetti di cuoio in realtà era una specie di confessionale, o un pronto soccorso per anime in cerca di aiuto».

Il “Quir” è infatti un crocevia per la locale comunità LGBTQI+, ieri come oggi alle prese (in Sicilia e nell’Italia tutta) con ingiustizie e discriminazioni figlie di una cultura patriarcale, omofoba e transfobica ancora tutt’altro che superata. La storia fra Massimo e Gino allora è anche un pezzo di quella lotta per il diritto ad essere e ad amare chi si vuole a testa alta che accomuna tante persone dentro e fuori il nostro Paese. «Mi sono così messo all’ascolto», prosegue il filmmaker, «e da questo microcosmo i personaggi si sono presto moltiplicati, diventando pezzi di un puzzle da costruire sullo sfondo di un paesaggio (la città di Palermo)».

Tra le figure che incontriamo nel doc, infatti, ci sono anche Vivian, Ernesto e Charly. Il regista si pone di fronte a loro «seguendo la lezione per cui non si tratta mai di riprodurre la realtà cosi come è, o di piegarla a una concezione ideologica precostituita, ma di filtrarla attraverso il prisma della coscienza». Il passaggio di vicenda in vicenda «avviene attraverso una serie di artifici di ordine narrativo, visivo, o associativo: sarà sempre qualche dettaglio, apparentemente insignificante, a trasportarci da una storia all’altra».

Ogni storia è perciò nelle intenzioni un frammento, accostato agli altri dal montaggio che «ricorre anche alla parodia e all’ironia come mezzi stilistici. Il fine era di arrivare ad una specie di straniamento empatico in cui le emozioni dei personaggi riescano a coinvolgere gli spettatori senza appiattirsi sulla mera riproduzione naturalistica».

Traendo ispirazione anche dalla frase di un amico poeta di Massimo, Nino Gennaro (morto di Aids): «O si è felici o si è complici». L’obiettivo di Bellucci, infatti, è anche «trasportare nel mio film la gioia attiva, come direbbe Nino Gennaro, che emana da ognuno dei corpi che attraversano il Quir».

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