“Un mix particolarissimo tra divertimento e cultura”, questo il Festival diretto dalla grande esperienza di Marco Müller, subentrato nella carica in occasione della 70ma edizione. Nel corso degli anni è stato direttore artistico di alcuni dei più importanti festival cinematografici europei, tra cui Locarno, Venezia e Roma, ad aprile di quest’anno Müller ha preso in mano anche lo storico Taormina Film Festival creando in breve tempo un palinsesto studiato per garantire il maggior equilibrio possibile tra ciò che più può attrarre il pubblico, specialmente quello giovane, e un contenuto qualitativamente ricco e variegato.
“Si trattava di provare a dimostrare che il luogo più straordinario che esiste in Europa e forse nel mondo per delle proiezioni all’aperto, il Teatro Antico di Taormina, può servire come un polmone per far respirare un Festival che cresce al ritmo dei nuovi spettatori e che cattura, seduce anche grazie al programma del Palazzo dei Congressi”, spiega Müller in una conversazione con Ciak. “Quando ero direttore di Locarno ho sempre pensato che il Teatro Antico sarebbe stato un mezzo eccellente per attrarre giovani spettatori sensibili di tutte le età alla scoperta del programma”.
Guardando ai 70 anni di storia del Festival, qual è stata la cosa che l’ha colpita di più appena ha iniziato questo nuovo incarico a Taormina?
“Ho cercato di capire qual era stata la formula vincente tra le diverse direzioni più fertili di idee. Le ho studiate e ho cercato di tornare a quelle. Ho guardato molto alle esperienze di Guglielmo Biraghi, di Enrico Ghezzi e del suo gruppo. Non a caso tra i principali consulenti abbiamo addirittura un testimonial di quegli anni, Carmelo Marabello, che ha lavorato sia con Biraghi che con Ghezzi. Ovviamente ho preso in analisi anche le formule di Felice Laudadio e di Tiziana Rocca per capire a che cosa serve avere delle presenze divistiche così forti”.
Dalla sua grande esperienza nei festival e nel mondo del cinema in generale di cosa in particolare farà tesoro questa edizione del Festival?
“Questo lo scopriremo soltanto alla fine del Festival, ma penso che la griglia di programmazione che abbiamo creato quest’anno permetta ogni giorno di avere dei punti di forza, grandi personaggi che fanno arrivare gruppi diversissimi di spettatori anche al Palazzo dei Congressi”.
Qual è stata la sfida più grande e quali le scommesse di questa edizione?
“Tornare ad usare una formula davvero festivaliera, non pensare soltanto a creare quella che si potrebbe definire l’arena estiva più straordinaria d’Italia, ma riuscire a creare una dinamica tra le due sale, e abbiamo ragionato sul palinsesto”.
Un’attenzione e uno spazio particolari nel Festival sono dedicati alla Sicilia con le sezioni di Focus Mediterraneo e Officina Sicilia
“A noi interessava la modernità del cinema di questa regione, non tanto quella sicilianità tra virgolette, quanto la mediterraneità non indifferenziata, perché il cinema siciliano va avanti a 360° e davvero ci sono state parecchie traiettorie imprevedibili. Nel primo fine settimana il Festival inizia con una rivisitazione del film siciliano più importante di quest’anno, L’arte della gioia di Valeria Golino, che cerchiamo di esaminare rendendolo il più accessibile possibile. Accanto a questo proponiamo di sabato Shikun, il film di Amos Gitai, il più importante regista israeliano, e domenica From Ground Zero, il film dei giovani cineasti di Gaza coordinati da Rashid Masharawi, il più grande e importante cineasta palestinese. A loro si aggiunge poi il meno ortodosso dei cineasti siciliani, Aurelio Grimaldi, con La rieducazione, un film in prima mondiale che è una specie di improvvisazione free jazz e una rivendicazione della modernità del cinema siciliano. Abbiamo anche messo a confronto due film: il nuovissimo in prima mondiale Quir di Nicola Bellucci e il non dimenticato Gesù è morto per i peccati degli altri (2014) di Maria Arena.
C’è un sorprendente scrittore italiano purtroppo scomparso, Stefano Malatesta, che ha scritto un libro di storie di eccentrici siciliani. Per questo Festival in qualche modo a noi interessava rivendicare proprio questo: gli eccentrici siciliani che hanno fatto del cinema fuori norma. Questo è un po’ il fil rouge che lega insieme la nostra visione di quel tipo di modernità, dentro alla quale ci sono canecapovolto (1996-2024), i film di Hugo Saitta e Piero Messina che afferma una sua cifra personalissima in una serie televisiva come L’Ora – Inchiostro contro piombo (2022)”.
La figura di Francesco Alliata è un altro dei punti di riferimento dell’edizione di quest’anno.
“Francesco Alliata è stato un grande regista, un grande produttore e un grande inventore di cinema. Alliata ha prodotto di tutto da La carrozza d’oro a Vulcano (1950) con Anna Magnani, ma soprattutto era estremamente cosmopolita come produttore, ha lavorato con registi stranieri regalando loro la possibilità di fare esattamente ciò che volevano fare. Come regista ha inventato la fotografia subacquea e il cinema subacqueo coniugandoli addirittura a un tipo di sperimentazione che prima non sembrava possibile, ne è un esempio Tonnara in cui dall’interno di una camera della morte filma la mattanza in mezzo ai tonni. È stato anche colui che ha portato in Italia il cinemascope a colori con Agguato nel mare”.
Di cosa va più fiero per questa edizione che celebra i 70 anni del festival?
“Per me l’elemento probante sarà la risposta del pubblico durante le proiezioni. Twisters ha già riscosso un interesse enorme, ma dietro questo film c’è una personalità fortissima come quella di Lee Isaac Chung, uno di quei cineasti che ci interessano, un regista che, lavorando dentro il cinema di genere, quello più popolare, riesce a portare il proprio marchio. Questa è una delle cose a cui teniamo di più. Stesso discorso vale anche per Touch di Baltasar Kormákur, che potrebbe diventare il Past Lives del 2024”.
Qual è l’anima del festival di Müller?
“L’anima di Festival ancora non la possiedo, perché non ho incontrato i miei gruppi di spettatori di riferimento, devo fare la prova anche fisica. Quando ero direttore di Locarno, anche di fronte ad un pubblico di 7/8000 spettatori in una proiezione mi mettevo sempre in una posizione da cui potevo osservare gli spettatori e le loro reazioni. Questa per me resta la prova della vera riuscita: aver un pubblico attento, ipnotizzato”.