Nell’ottica di un programma che al Taormina Film Festival vede la Sicilia inserita nell’ampio panorama della storia e degli sconvolgimenti più recenti che accadono nell’intero Mediterraneo, Il Giudice e il Boss di Pasquale Scimeca, proiettato in anteprima mondiale al Teatro Antico il 14 luglio, si inserisce come testimonianza di un passato che ancora influenza il presente in maniera significativa.
Il Giudice e il Boss, in uscita al cinema il 25 settembre con Arbash Distribuzione, racconta la storia del giudice Cesare Terranova (Petralia Sottana, 15 agosto 1921 – Palermo, 25 settembre 1979) e del maresciallo di polizia Lenin Mancuso impegnati nella lotta contro la mafia, contro il boss Luciano Liggio e gli uomini corrotti delle Istituzioni. Un impegno che il giudice Terranova e Lenin Mancuso hanno pagato con la vita.
Il Giudice e il Boss, la trama
Il giudice Cesare Terranova (Gaetano Bruno) e del maresciallo di polizia Lenin Mancuso (Peppino Mazzotta) indagando sulla mafia dei corleonesi scoprono il Peccato originale della Repubblica italiana. Ingaggiano una lotta epica contro il male, impersonato dal boss Luciano Liggio (Claudio Castrogivanni) e dagli uomini corrotti delle Istituzioni, culminata con il processo che, per legittima suspicione, si tenne a Bari nell’estate del 1969 e che vide dietro le sbarre i boss e i picciotti della spietata mafia dei Corleonesi.
Se, il processo di Bari, istruito dal giudice Terranova, dopo dieci anni di indagini svolte assieme al maresciallo Mancuso, al vicebrigadiere Agostino Vignali e al colonnello dei carabinieri Ignazio Milillo, si fosse concluso con la condanna di Luciano Liggio, Totò Riina, Binno Provenzano e gli altri 62 picciotti del clan dei Corleonesi, quante morti innocenti, quante stragi si sarebbero potute evitare? Ma le cose sono andate diversamente e il giudice Terranova fu lasciato solo, umiliato e offeso, a combattere contro i mulini a vento.
“Cesare Terranova non è stato un giudice qualsiasi – spiega il regista e cosceneggiatore insieme a Attilio Bolzoni con la collaborazione di Nadia Terranova – Ma un modello a cui si sono ispirati Gaetano Costa, Rocco Chinnici, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Il primo che ha avuto il coraggio di indagare sulla sanguinaria cosca dei Corleonesi. Il primo ad aver capito che la mafia era un’organizzazione criminale unitaria che agiva di concerto con elementi della politica, della massoneria, dell’amministrazione pubblica e dell’economia”.
“Anche Lenin Mancuso, non è stato un poliziotto qualsiasi, ‘l’autista o il guardaspalle del giudice’ come spesso viene, erroneamente, definito dalla stampa, ma uno dei migliori poliziotti di Palermo. Amico fraterno di Boris Giuliano, è stato l’esempio a cui si sono ispirati Ninni Cassarà e gli altri poliziotti della squadra mobile (Beppe Montana, Lillo Zucchetto, Natale Mondo e Roberto Antiochia) che dopo di lui verranno uccisi dalla mafia – continua il Terranova – Altrettanto importante è la figura del loro antagonista il boss Luciano Liggio, per capire il ruolo dei Corleonesi nell’evoluzione della mafia da fenomeno rurale a quello urbano della speculazione edilizia, del traffico internazionale degli stupefacenti e della finanza, per finire con la stagione delle stragi ad opera di Totò Riina e Binno Provenzano, che di Liggio sono stati i gregari”.