La città proibita, Gabriele Mainetti, Sabrina Ferilli e l’amore per la Roma di una volta (intervista)

Gabriele Mainetti e Sabrina Ferilli raccontano a Ciak il valore delle tradizioni romane in "La città proibita", al cinema dal 13 marzo

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La città proibita

La Roma di una volta, quella fatta di tradizioni, di mestieri tramandati e di ristoranti intesi come botteghe dell’arte, unita al melting pot, la cultura cinese e gli italiani di seconda generazione. Oltre, ovviamente, all’azione del kung fu e tanto romanticismo. C’è tutto questo in La città proibita di Gabriele Mainetti, regista il cui legame con la tradizione romana resta fortissimo e imprescindibile, al punto da renderla protagonista, sotto diverse declinazioni, in tutti e tre i film che ha realizzato finora. «La mia famiglia è cresciuta a Trastevere, a Piazza in Piscinula. Sono molto legato alla tradizione romana, c’è qualcosa che mi affascina da sempre in quella Roma di una volta e che mi dispiace perdere, perché è meravigliosa».

Stavolta è l’Esquilino, la zona di Piazza Vittorio, ad aprirsi alla grande città, mescolando, appunto, innovazione e tradizione. Quest’ultima è tutta racchiusa tra le mura del ristorante Alfredo, una conduzione familiare tramandata di padre (Luca Zingaretti) in figlio (il Marcello di Enrico Borello), con l’aiuto di mamma Lorena (Sabrina Ferilli) e gli interessi del fratello/zio Annibale (Marco Giallini).

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«Nel film c’erano tanti altri richiami alla tradizione che abbiamo dovuto tagliare. Il classico camere che prende le ordinazioni senza scrivere nulla, per dirne una − spiega a Ciak Mainetti − quelle persone che fanno questo lavoro perché ci credono davvero e lo fanno con una grande dignità. Per me sono molto importanti questi valori».

Come lo sono per Sabrina Ferilli, altra ‘esponente’ della romanità più pura, tradizionale, che quei ristoranti li ha frequentati e che, con amore, definisce delle vere e proprie botteghe dell’arte. «Non erano come le trattorie di adesso; all’epoca ci passavano persone come giornalisti, scrittori, musicisti che passavano intere giornate lì su quei tavolini. C’era un patrimonio culturale. L’arte della cucina era anche quella del saper accogliere e ascoltare».

Guarda qui l’intervista a Gabriele Mainetti e Sabrina Ferilli per La città proibita 

 

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