Un Golden Globe e due Critics’ Choice Awards – uno dei quali per il miglior cast (Best Acting Ensemble) – il film li ha già vinti, ma la misura dell’importanza del Conclave di Edward Berger sta anche nelle otto nomination agli Oscar 2025, due delle quali conquistate da Ralph Fiennes e Isabella Rossellini a conferma dell’importanza degli attori nel film tratto dal dal romanzo omonimo di Robert Harris. Particolarmente rilevante, quinti, il ruolo avuto dal team del casting guidato da Nina Gold e Martin Ware, nel quale spicca il nome del nostro Francesco Vedovati.
Nominato al BAFTA nel 2020 per il casting de I due papi, e vincitore del Artios Award nel 2021 per Fargo (con Barbara Giordani, nella categoria “Best Casting in a Limited Serie” (la stessa che lo ha visto candidato anche quest’anno per Ripley) e del Primetime Emmy Award del 2023 per The White Lotus (come “Outstanding Casting Drama Series”, ancora con la Giordani), abbiamo parlato con lui solo pochi giorni dopo la vittoria di un nuovo Artios Award, il più prestigioso riconoscimento conferito dalla Casting Society of America, ricevuto proprio per Conclave, premiato come miglior “Studio or Independent Feature Drama”.
“Non ho fatto tutto il cast – ci tiene a sottolineare Francesco Vedovati, – mi sono occupato dei ruoli del cast italiano, come è avvenuto per Ripley, e l’ho fatto con una collega che è la regina del Casting, Nina Gold, una delle più grandi casting director del mondo con la quale condivido il premio, con lei, Martin Ware, l’altro casting director, e con Barbara Giordani, la mia collega, con la quale ho fatto questo lavoro“.
Come vi coordinate con il resto del team internazionale?
Con la Gold ho lavorato in altri progetti, tra l’altro anche in I due Papi, che fu nominata ai Bafta, quindi diciamo che ci siamo trovati di nuovo a cercare cardinali… ormai siamo specializzati in questo. Lei è una persona con cui è molto piacevole lavorare e il regista è un grande regista europeo, rispetto a molti suoi colleghi, poi, gli piace fare provini. È venuto a Roma per farli”.
C’è stata un’attenzione particolare nel trovare risorse locali?
Sì, anche se alcuni dei ruoli sono stati poi limitati al montaggio, dove son state tagliate alcune battute. La difficoltà, nei cast italiani in questo tipo di progetti, ambientati in ambito vaticano, semmai è trovare porporati che non siano solo italiani, ma di tutte le etnie, perché quando c’è un conclave vengono da tutto il mondo, e soprattutto di una certa età. E in Italia la realtà multietnica è un po’ più ricca quanto a giovani attori, perché le seconde generazioni sono di più.
Secondo lei, cosa ha di particolare Conclave rispetto agli altri concorrenti agli Oscar?
Non ho visto tutti i film, e per me che ci ho lavorato chiaramente è diverso, ma le persone che l’hanno visto – e tanti sono colleghi stranieri – mi hanno detto che prima di tutto per loro è stato molto interessante scoprire il processo del conclave, che è sconosciuto ai più, anche a noi italiani, che magari lo viviamo più da vicino. È un rito affascinante, che I due papi trattava in un altro modo e qui invece era proprio focalizzato sui giochi di potere che esistono anche in quell’ambito. E poi è un film di recitazione, ci sono dei grandissimi attori, inglesi, americani e italiani per i quali è un piacere vedere un film del genere, un’altra componente per cui ha avuto tante nomination dall’Academy e ai BAFTA, e ha vinto premi ovunque.
E stata sua l’idea della Rossellini?
In verità Isabella Rossellini c’era già quando sono arrivato nel film, non so se l’idea fosse venuta a Nina Gold o al regista. Anzi, a un certo punto aveva rischiato di non esserci per un impegno, teatrale, che però fortunatamente non è diventato un problema e il pericolo è rientrato. Non abbiamo neanche dovuto ipotizzare una soluzione alternativa.
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Dopo i BAFTA e i nostri David, dal 2026 anche gli Oscar premieranno i migliori casting, aspettative?
Da anni quello del casting director è un ruolo centrale nella creazione artistica di un film, ma la nostra era l’unica categoria a comparire nei credits a non avere nessun tipo di riconoscimento. Fortunatamente siamo stati molto aiutati dal BAFTA, che ha istituito il premio, anche se a dire la verità i primi sono stati i Nastri d’Argento, e poi ha seguito anche il Davide Donatello e subito dopo gli Oscar, e dal prossimo anno anche gli EFA. Diciamo che si sono resi conto che era un ruolo che era ingiusto lasciare fuori dai riconoscimenti, certo, mi sarebbe piaciuto che ci si fosse arrivati prima, ma non importa, l’importante è che il processo sia iniziato e spero che anche in Francia, Spagna, Germania, le accademie locali lo riconoscano, per i colleghi di altri Paesi. Certo, mi farebbe piacere vincere un premio, ma non è il motivo principale di soddisfazione, l’importante è esserci arrivati.
Da casting director, ci sono nomi di giovani attori e attrici che le piacerebbe citare o che le vengono in mente subito quando la chiamano?
Più che fare nomi specifici, secondo me sono le nuove generazioni a essere molto interessanti. Sono di più a studiare recitazione rispetto al passato, ma in generale sono ragazzi che hanno una recitazione più naturale, forse perché abituati a vedere serie in inglese o francese, non doppiate, e hanno un rapporto diverso con le lingue, sono molto disinvolti e sicuri di sé. Quando mi capita di fare dei cast di giovani, è sempre una bella scoperta, perché ce ne sono tanti molto interessanti ed è bello assistere alla nascita di tanti nuovi talenti. Speriamo che il cinema e la televisione diano loro l’occasione di emergere con dei bei progetti. Lavorando in progetti internazionali, vedo più giovani competere per ruoli importanti, perché i registi preferiscono lavorare con persone con le quali possono parlare direttamente e anche perché, per i ruoli degli italiani, ormai il fatto che lo siano davvero adesso è considerato una priorità. E così è stato per serie come White Lotus, Ripley o un progetto su Amanda Knox che ho fatto da poco, sono tantissimi gli attori italiani per ruoli importanti che siamo riusciti a far partecipare a queste produzioni.