Trasformare un lontano fatto di cronaca accaduto in una remota località australiana nel giorno di San Valentino del 1900 in un affresco d’epoca, costruendo nel contempo una storia fatta di atmosfere, suggestioni, in cui il fatto al centro stesso della vicenda scolora in un pretesto per raccontare pensieri, speranze, attimi. È il piccolo grande miracolo cinematografico riuscito 49 anni fa a un allora poco conosciuto regista australiano, Peter Weir, che da quel film, Picnic ad Hanging Rock, spiccò il volo per Hollywood, dove realizzò storie capolavoro entrate nella storia del cinema, come L’attimo fuggente, Witness, The Truman Show, Master & Commander ma anche commedie di assoluto valore come Green Card, mentre anche i suoi primi film, come L’ultima onda o Gli anni spezzati, sulle assurdità che portarono al sacrificio di tanti giovani nella Grande guerra, venivano riscoperti e amati in tutto il mondo.
Il film, in programma oggi in versione restaurata al Palazzo dei Congressi, è tra quelli regolarmente inclusi nella “rivoluzione cinematografica” che scandì la seconda parte degli anni ’70. Racconta la scomparsa, apparentemente senza spiegazione, di tre studentesse di un liceo privato in una località di campagna dell’Australia ancora vittoriana di inizio secolo durante un pic nic ai piedi di una delle montagne di quel continente considerate “stregate”. E’ quel mistero ad attrarre le tre giovani, che nel sopore di un primo pomeriggio avvolto dall’afa e dal canto delle cicale si inerpicano sempre più su tra le rocce, facendosi coraggio l’una con l’altra, fino all’ultima loro immagine, che vive al ralenty. Da lì in poi tutto precipita, e mentre scorrono parallele le storie di chi da quella scomparsa non avrebbe più avuto modo di riprendersi (la titolare della scuola, dal passato oscuro e dal bicchiere segretamente sempre pieno, l’istitutrice francese dalle ambigue tentazioni, le compagne delle tre scomparse, ciascuna con la sua storia), una delle tre ragazze, Miranda (interpretata dall’allora giovanissima Anne Lambert), dal sorriso enigmatico e dai capelli dorati, immagine stessa della bellezza giovanile, si trasforma pian piano in una sorta di presenza-assenza chiave nella vita di un po’ tutti i componenti di quella piccola comunità, in grado di scompaginare convenzioni di comportamento e classi sociali, mentre la montagna nasconde persino i corpi delle tre scomparse e, a ondate, come spinti da un richiamo ancestrale, alcuni giovani tornano a scalarla di notte, a mani nude, richiamati forse dai loro spiriti. Solo una di loro verrà ritrovata, priva di memoria, e finirà accusata dalle compagne di non riuscire a dir loro dove è finita Miranda. A rendere ancora più magica l’atmosfera è la straordinaria, trasognata colonna sonora composta da Bruce Smeaton, punteggiata da un flauto che compare nel momento in cui la noiosa esistenza di quell’eterogeneo gruppo di giovani e adulti si trasforma in mistero, e poi in dramma, divenendo una sorta di altro protagonista, sempre più ipnotico. Come l’atmosfera in cui pian piano il film trasporta lo spettatore. Nel cast figura tra gli altri una straordinaria Lina Morelli.
Picnic ad Hanging Rock fu premiato a Taormina nel 1976. Di recente dalla vicenda è stata tratta una bella serie televisiva, non in grado, però, di evocare, come invece il film di Weir, quel senso di stupore, dolore, disorientamento che ci coglie quando alle nostre esistenze viene tolto all’improvviso il bello che – ci accorgiamo – dava loro un senso. Anche standosene soltanto a portata di sguardo.