Arriva nelle sale italiane dal 20 settembre con Sony Pictures Gran Turismo: La storia di un sogno impossibile diretto da Neill Blomkamp. Il film è ispirato all’omonimo franchise videoludico e allo show GT Academy, il programma televisivo finanziato da Nissan che ha offerto ai giocatori esperti di Gran Turismo l’opportunità di intraprendere una vera carriera agonistica professionale.
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IL FATTO
La vera storia di Jann Mardenborough, ragazzo gallese che dalla console viene catapultato sui più importanti circuiti automobilistici mondiali alla guida di un’auto da corsa grazie alla sua abilità in uno dei più famosi videogiochi di simulazione di gara mai creati. Tra difficoltà, gioie e momenti drammatici, la coronazione del sogno di una vita. Gran Turismo
L’OPINIONE
Il sottogenere automobilistico del cinema sportivo è sempre stato uno dei più difficili da affrontare. Non solo per mere questioni tecniche, perché simulare le sequenze di una corsa automobilistica è un lavoro complesso che unisce inquadrature ardite e montaggio serratissimo. L’altro aspetto da non sottovalutare è il rapporto simbiotico che c’è tra l’uomo e il mezzo meccanico, ma anche il bisogno del superamento del limite che è proprio della psicologia di un pilota. In molti ci hanno provato, in pochi ci sono riusciti. La poetica cinematografica di Neill Blomkamp è tutta fondata sul concetto di uomo-macchina, da Elysium a Chappy e partendo dal celebrato esordio District 9, in cui l’umano si fonde con l’alieno. In attesa di girare l’atteso sequel del film che lo lanciò, il regista sudafricano ha potuto confrontarsi nuovamente con il tema in un biopic che è anche una geniale operazione di marketing per il mercato dell’automotive, raccontando la storia di un giovane che vive la realtà attraverso una simulazione, salvo poi scoprire che i sogni quando si realizzano possono diventare incubi.

Gran Turismo è un film molto più complesso e stratificato rispetto alle apparenze, ammorbidito dagli elementi classici della narrazione sportiva, dal training al rapporto con i due padri, quello biologico e quello sportivo, fino al classico percorso di ascesa, caduta e risalita. Il tutto raccontato con grande fluidità, grazie a una regia eccellente e contaminazioni mutuate dal mondo del gaming. Efficaci le interpretazioni, dal giovane Archie Madewke nel ruolo del protagonista al suo mentore David Harbour. Menzione speciale per un ritrovato Orlando Bloom, che nella parte di un moderatamente cialtrone uomo di marketing si ritaglia il suo miglior ruolo dai tempi di Elizabethtown.
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Speed Racer, incompresa opera sperimentale delle sorelle Wachowski, e il film “maledetto” di Steve McQueen, Les Mans, a cui Blomkamp si è dichiaratamente ispirato.